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Boyhood, una storia americana

locandina

Di cinema non ne parlo mai. Perché sono un po’ grezza ed ignorante a riguardo, e la mia cultura cinematografica è nata e cresciuta su pellicole di così basso livello da imbarazzarmi a citarle.

Ma forse, un seme, da qualche parte c’era.

Qualche giorno fa sono andata a vedere Boyhood, un film di cui si è parlato decisamente tanto ultimamente, per il semplice motivo che è un esperimento cinematografico durato 12 anni, che ha visto crescere i personaggi anno dopo anno, con un’America che cambia sullo sfondo.

Ho letto alcune recensioni, c’è chi l’ha trovato noioso.

Il film racconta la storia di madre con due ragazzini, padre spiantato, gente che fa di tutto per vivere e sopravvivere. I ragazzi crescono, le cose cambiano, le situazioni si evolvono. Come nella vita normale.

Linklater, che ho cominciato ad amare quando mi ha fatta passeggiare per le notti viennesi con Celine e Jesse, ha la meravigliosa dote di farti sentire così delicatamente e profondamente coinvolto, da sentire l’odore dell’erba o delle persone. Ti sembra di aver fatto parte della storia di questa gente, di essere uno di quei personaggi minori che li accompagnano in almeno un pezzo di vita.

Ma non è forse questo che mi ha colpita al cuore.

In quelle 2:45 minuti (sì, è lungo) c’è l’America.

Non sono statunitense ma in quelle vite c’è tutto quello che è diventata la mia cultura adottiva, fatta di sogni, sostegni a campagne politiche, campeggi, traslochi, musica di sottofondo.

Vedere i protagonisti camminare per le strade di Austin, in angoli di città che mi ricordo bene, dove ho consumato le mie scarpe… Mi ha fatta sobbalzare il cuore.

C’è tutta quella cultura che percepisci dai film e dai telefilm che quando sei là riesci solo a cogliere minimamente: prati curati, staccionate bianche e situazioni difficili dietro le porte di casa.

Ad un certo punto si festeggia il compleanno del ragazzo protagonista del film, Mason, e dai nonni gli vengono regalati una bibbia ed un fucile: lì, in quel gesto naturale che ai nostri occhi è assolutamente un bizzarro controsenso, c’è un intero paese.

Ho già parlato degli americani e dei loro controsensi: questo film è una botta di cultura americana attuale, senza filtri e senza slanci.

La vita di questa famiglia scorre normale, di colpi di scena non ce ne sono, come di regola non ce ne sono nelle vite normali.

E sullo sfondo passano anni e storie di cui abbiamo sentito parlare.

Amo il regista perché ha la dote innata di far parlare i personaggi per ore senza annoiare, raccontare storie medio-speciali senza esagerazioni, facendo leva su quel senso di comunità che c’è in molti di noi (soprattutto chi abita in piccoli centri), sapendoti accompagnare per mano dentro le loro vite, non solo le loro storie. Come Bernie, un altro film strano – soprattutto perchè tratto da una storia vera –  e consigliatissimo, ambientato in un Texas di provincia che fa davvero pensare… E da guardare rigorosamente in lingua originale (con i sottotitoli, perché altrimenti è incomprensibile).

Non sopporto chi mi dice che non vuole andare in America perché non c’è cultura.

E’ una cultura diversa, variegata, recente.

La storia americana la devi cercare nelle parole di Springsteen, nei film di ogni epoca, nelle serie televisive, in libri che raccontano pezzi di storia come Pastorale Americana. La cultura americana non la puoi vedere nei negozi di New York o nelle vetrine di Sunset Boulevard a LA, ma la vedi quando ti fermi in mezzo al nulla, in micro paesini  dove la gente si mette alla finestra per guardarti, dove nei diner le cameriere ti chiamano Honey o Sweetie e ti siedi in tavoli dai divanetti rossi, e il caffè è sempre caldo nella tazza.

La cultura americana la trovi leggendo Bryson, in ogni sua presa in giro del suo noiosissimo paese nel noiosissimo Iowa o forse ancor di più la trovi dentro le fotografie di Dorothea Lange, in quegli sguardi fissi nel vuoto di chi ogni giorno perde tutto. Sguardi che per molti versi non sono cambiati.lange-meremigrante-fevrier1936

Guardare questo film mi ha impresso ancora più nella testa e nella pelle, che se vai là cercando monumenti, palazzi storici e reperti archeologici al massimo ti troverai qualche scheletro di dinosauro, ma di colossei non ce ne sono.

C’è un Superdome, che è stato un pezzo della storia di New Orleans, ma di grandi duomi, no, non ce ne sono.

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