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Pensieri qua e là

Ascolta i pezzi della tua storia. Oggi, il 25 aprile.

Mi capita spesso di pensare a quanto l’essere nata nel 1983 sia stato un momento di assoluta transizione tra il prima e il dopo.

Essere nati negli anni ’80 significa che l’infanzia era fatta di telefonate a casa, di “salve sono la Paola, c’è la Martina?”, di citofoni suonati e fughe velocissime, di gite fatte senza cellulare e viaggi senza le cinture. Perché sulla Diane di mia mamma, proprio non c’erano le cinture.

Le ricerche le facevamo in biblioteca e copiando dall’infinita enciclopedia blu di mio nonno, da cui prendevo sempre informazioni e il volume di WXYZ lo guardavo sempre con il dubbio. Cosa ci sarà scritto? Ma che inutile!

I nostri nonni avevano fatto tutti la guerra, avevano tutti qualche racconto di partigiani da raccontare: le montagne, le donne che facevano le staffette, quella polenta mangiata tutti i santi giorni (e cara grazia che c’era quella).

Mio nonno ha fatto la guerra e non ne ha mai parlato. Poco. Pochissimo.

Abbiamo ancora le poesie in rima che scriveva per il suo battaglione nella notte di natale, i telegrammi in cui diceva che stava bene, le indicazioni che l’esercito ti dava se andavi a prostitute (lavarsi con l’acqua calda era un rimedio, fate voi).

Mio nonno è tornato dalla Grecia a piedi, e non per fare l’hippie che fa il giro del mondo senza aerei. E’ tornato perché era là, dopo l’Albania, la deportazione, il servizio in infermeria.

Parlava greco e da piccola cercava sempre di insegnarmelo, cominciando dal saluto, tutte le mattine che andavo a disegnare sui suoi libri contabili: “Kalimera!” e poi mi chiedeva come si dicevano buonasera e buonanotte.

Kalimera, Kalispera, Kalinicta. Non credo potrò mai dimenticarle.

Leggeva tantissimo, libri di una noia mortale. Quando dovevamo scegliere un libro da regalargli guardavamo il numero di pagine: se era un mattone infinito, eravamo certi gli sarebbe piaciuto.

Mio nonno aveva l’Alzheimer ed è morto quando io non avevo ancora 18 anni.

Penso sempre che ci siamo “incrociati” in quella fase in cui io comincio ad interessarmi alla sua storia, ed è successo in quel momento in cui lui stava cominciando a perdere i pezzi. Poco alla volta, ricordo dopo ricordo, parola dopo parola.

Penso che i miei nipoti non incontreranno mai nessuno che ha fatto la guerra, mai nessuno con un numero tatuato sulla pelle che non venga da un studio di tatuaggi hipster. Noi siamo il ponte.

L’ultimo ponte diretto tra analogico e digitale.

Qualche giorno fa ho visto “la mafia uccide solo d’estate”, e ad un certo punto lui fa una telefonata, con quel telefono bordeaux della Sip che avevo anche io a casa, con la cornetta nera e nessuno schermo. Se suonava rispondevi, e se era qualcuno che ti stava sulle palle non potevi esimerti dall’ascoltare. Ora puoi bloccare le chiamate e i whatsapp se qualcuno ti ha infastidito, anche solo condividendo un’idea personale.

Siamo abituati a chiudere le porte più facilmente di quanto non facessimo prima, a non ascoltare se l’argomento non è assolutamente in linea con quello che pensiamo, come se avere un’opinione diversa fosse una preclusione totale ad un rapporto, come se oscurassimo le parole degli altri come si fa nella bacheca di facebook.

Col senno di poi sono contenta di essere stata costretta ad ascoltare pipponi infiniti di anziani che raccontavano la loro storia, perché si è sempre fatto così, era l’unico modo. Non c’erano i blog, i vlog e le stories di instagram: o eri uno scrittore, o raccontavi a voce. Punto.

Col senno di poi mi dispiace anche che tutte le volte che il 25 aprile ci obbligavano ad andare alle parate o agli incontri coi partigiani ho pensato “che palle ancora”, perché quando sei in terza elementare, di queste cose con ne capisci nulla, e sono solo ancora gli alpini, ancora i vecchi.

Ed è sempre amaro il pensiero di poter tornare indietro e ascoltarli oggi, con la testa di oggi, con la strada percorsa fino qui.

Mi manca mio nonno, i suoi racconti, la camicia mentre zappava l’orto (era un signore, lui zappava con eleganza), il cappello di paglia e la cravatta di domenica, perché lui era un albergatore nell’anima.

E’ il 25 aprile, e la sua storia, come quella di tanti partigiani, è stato l’asfalto per poter costruire la nostra.

Apriamo le orecchie, ascoltiamo gli altri, non dimentichiamoci da dove veniamo.

foto

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1 Comment

  • Reply Tiziana di eorapartoio

    Ciao! Le tue parole mi hanno colpito, davvero, forse perché anche io come te sono nata nel 1983. Confermo e condivido ogni singola parola, ogni emozione che hai evocato, ogni ricordo di persone ormai passate che purtroppo non puoi più ascoltare (e ce ne sarebbe davvero bisogno!). E veder scritto che siamo “l’ultimo ponte diretto tra analogico e digitale” fa riflettere su quanto oggi la tecnologia ci abbia reso dissociati dalla realtà.

    4 Maggio 2017 at 14:22
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