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    Albania, Balcani

    Matrimonio all’albanese! Parte 2

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    Il nostro secondo giorno a Tirana è quello ufficiale per noi di matrimonio, visto che il primo lo festeggia la sposa. Senza lo sposo. Si, sul serio. La tradizione vuole che lo sposo vada con undici persone a casa della sposa, si beva tutti allegramente un caffè, si mangi un dolcetto e poi tutti fuori dai coglioni. E la sposa festeggia con i suoi parenti e amici mentre lo sposo è a farsi gli affaracci suoi a casa sua. Il problema oltre che di tradizione è logistico, visto che la media di invitati per parte è circa 300. E auguri a qualsiasi ristorante che riuscirebbe a servire 600 piatti di tortelli tutti insieme.

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    Albania, Balcani

    Matrimonio all’albanese – Parte prima

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    Per quanto si stia sviluppando e per quanto stia facendo passi e balzi verso il modernismo… L’Albania, beh, è sempre l’Albania. Se si leggono informazioni sparse da Wikipedia si trovano “dettagli” come “A causa dell’isolamento e del deperimento dei rapporti con il blocco sovietico, alcuni diritti civili come la libertà di parola, di religione, di stampa e di associazione, sebbene la costituzione del 1976 li enunciasse, vennero sensibilmente compressi con una legge del 1977, per garantire stabilità ed ordine”. Tradotto: da queste parti il tempo, si è fermato a lungo. E se la sera non ci siamo accorti di nulla perchè siamo arrivati a notte inoltrata nella guesthouse nei dintorni di Scutari, la mattina tutta la strada era trafficata da carretti trainati da cavalli, ambulanti che portavano in giro carretti e mercanzia alimentare e non gentilmente buttata per terra. Welcome back to India! Scherzi a parte se la si prende con la giusta dose di “viaggioavventurosità” l’Albania è il top.

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    Alla Florian Shkodra Guesthouse and Hostel l’accoglienza è divina (il posto è così cosà, oltretutto difficile da trovare… Ma è abbastanza pulito ed economico, loro gentili e piacevoli, oltre al fatto che c’era una bella comunità di backpackers da tutto il mondo che dormivano qua e là…), la mattina appena svegli facciamo colazione con cetrioli e uova – che io e Gianni ci siamo equamente spartiti: io tutti i cetrioli, lui tutte le uova… – e un pan focaccia delizioso che ho ricoperto di marmellata di fichi. E un caffè, niente birra. Si perchè ho capito che da queste parti ad ogni ora possono offrirti CALOROSAMENTE una birra. A colazione evito, decisamente.

    Accompagniamo due ragazzi francesi e i loro zaini (più grandi dei ragazzi stessi) verso il centro e la stazione della città e così partiamo alla volta di Tirana. Il traffico entrando in città è folle, le gente guida esattamente come in India. Mi viene fatto notare che fino al ’92 da queste parti non esistessero le macchine e che per anni e anni ci siano stati incidenti a ruota libera dato che tutti erano neopatentati. Cioè, sia quelli di 20 che quelli di 70. Vecchi col cappello che sono pure neopatentati. Mi scorre lungo la schiena un leggero brivido di paura.
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    Arriviamo vicini a casa di Qerim, il nostro amico che vive in Italia e padre dello sposo, che subito ci offre una birra ghiacciata… Ne beviamo un po’ ma poi dobbiamo scappare subito, si va a salutare lo sposo che deve partire subito in missione a casa della sposa… Un saluto e lei, poi, farà la sua festa con i suoi amici e i suoi parenti, ovviamente senza lo sposo che dopo un paio d’ore torna a casa e passa il pomeriggio con noi.
    Per pranzo ci portano in un locale tipico, senza avvisarmi che in quel posto le specialità sono due: capretto e agnello. Ci sono rimasta leggermente di ghiaccio. Calcolando che l’agnello non lo mangio e che prima di partire per questo viaggio ho salutato nell’ordine madre, padre, gatta e capra (Margherita la capretta è pure dolce come un qualsiasi cucciolo!) mi sono trovata davanti ad un enorme desiderio di fuga disperata. All’ingresso in bella vista, una capra e un agnello inforcati arrostivano sul girapollo. Mi veniva da piangere. Si risponde alla cortesia e all’ospitalità o si mangia quello che tu consideri un animale domestico? Ho mangiato un po’ di agnello e tanta insalata (e ovviamente due o tre birre ghiacciate, non si sa mai…)
    Il pomeriggio poi, dopo essere stati accompagnati nel b&b senza nome (un bar albergo, senza scritta nè nulla…e mi dispiace terribilmente visto che le camere erano belle, ampie, moderne e soprattutto pulitissime con lenzuola profumate di bucato) e aver cercato per ore di salvare la festa cercando il jack per le casse che pompavano musica in cortile, ci siamo finalmente riposati.
    IMG_9446 (Small)Alle 19:45 appuntamento in un ristorante vicino alla casa di Dorian – lo sposo – per un pre-cena di nozze, circa 100 persone spesate sempre dalla famiglia mangiavano allegramente carne …carne.
    Il pranzo di nozze più veloce della storia. Alle 20:10 erano già tutti a ballare e io e Gianni ci siamo sentiti come due fogne quando abbiamo alzato gli occhi dal piatto e…beh, non c’era praticamente più nessuno. Tutti a ballare.
    Ed è così che è cominciata una delle serate più divertenti e assurde mai passate.

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    Una piccola postilla. Al pomeriggio, al rientro di Dorian dalla visita alla futura sposa (che in realtà è per la burocrazia già sposa da tempo, visto che per avere il permesso di soggiorno hanno firmato in comune 8 mesi prima) sono corsa al primo piano a prendere la macchina fotografica e, come nelle più banali gag da cartone animato, mi sono ritrovata col culo per terra. Sono scivolata. O meglio: sono volata a gambe all’aria facendomi un paio di gradini di marmo con l’osso sacro. Black out. Dolore lancinante che mi ha portata a controllare se non me la fossi fatta addosso e a reggermi a un muretto per non svenire. Ovviamente mi sono guardata in giro per rendermi conto del livello di figura di merda raggiunto e… Fortunatamente tutti erano rivolti all’uscita del cancello, ad accogliere cantando lo sposo. Quasi, tutti. L’unico mi spettatore era un bambino di circa 3 anni che è rimasto per circa 10 secondi con la bocca spalancata a fissarmi. L’ho intimanto di andarsene con le buone, poi ho imprecato con quelle 4 parole che so di dialetto parmigiano verso di lui convinta che almeno il tono l’avrebbe spinto ad andarsene e invece… Nulla. Credo sia ancora lì impalato per lo shock di aver visto un carpiato su gradini in un umido pomeriggio d’estate.

    IMG_9533 (Small)Questa premessa per far capire che quella sera stavo soffrendo (il dolore me lo sono portata dietro circa due mesi… in cui mi sono seduta e sdraiata come una donna incinta di 9 mesi e il mio unico desiderio in questi 70 giorni circa di agonia era una ciambella per le emorroidi… Che mi vergognavo troppo di andare a comprare) e che quindi, bere, mi ha fatto bene.
    Birra ghiacciata, a fiumi. Tutti che ballano, in cerchio, quella che a me sembra sempre la stessa canzone. Uomini e donne saltellano qua e là in cerchio tenendosi saldamente per mano, decisamente instancabili.
    La cosa carina e curiosa ai miei occhi era il loro ballare tutti insieme: donne, uomini, bambini, anziani. In maniera naturale, persone di sesso maschile si tenevano per mano o sventolavano fazzoletti di tulle rosa saltellando come in una tarantella… E no, nessuno di loro sembrava gay, nessuno puntava un gay-dito verso nessun’altro.
    Un po’ ho ballato, foto testimoniano la mia suprema scordinatezza senza dignità, le bambine volevano tutte ballare con me, le cugine di Dorian (ovviamente, mi sembra inutile dirlo ma qui, sono tutti cugini… E’ un mondo di cugini!) mi facevano mille domande e spianavano le loro poche parole di italiano.
    Io mi sono DIVERTITA, ma divertita davvero. Mi sono sentita accolta in maniera così sincera da percepirlo nel cuore. Noi eravamo gli strani, noi eravamo “fuori luogo”, noi quelli che sono stati trattati come principi. E questo era solo il primo giorno, il meglio doveva ancora venire.IMG_9503 (Small)

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    Balcani, Pensieri qua e là

    DON’T FORGET SARAJEVO!

    IMG_9300Sarajevo è una città difficile.  Me ne sono accorta non tanto quando ero là, mentre passeggiavo per le strade o guardavo i monumenti che ancora sono rimasti in piedi dopo la guerra, ma mentre mi sono “dovuta” mettere davanti ad un foglio bianco con l’intento di scriverne.IMG_9314

    Sarajevo è una città ferita, l’intera Bosnia lo è. Ho parlato con amici di Jaice che nonostante la giovane età hanno dentro le vene l’odio per i serbi e per quella assurda guerra, e non hanno la cattiveria derivante da un odio mitologico, da affari di etnie o religione: loro sono incazzati perchè molti amici e parenti sono morti. “Anche mia cugina è stata ammazzata, aveva la mia età. Aveva un anno”. E quindi come fai a parlare senza andare fuori dai bordi? Racconto con indifferenza la città che ho visto? Faccio un post strappalacrime su quanta è brutta e cattiva la guerra?

    Più che scrivere, leggo. Sto finendo “maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, un libro difficile sugli anni di guerra nei Balcani che lui ha vissuto in prima persona come inviato, e lo faccio per capire, per riuscire ad agguantare il bandolo della matassa ì, il capire anche solo “chi era contro chi e per cosa”, e ad ogni passo mi si apre un mondo. La guerra mediatica, le bugie, gli orrori, Srebrenica. Nel luglio del 1995 il mio unico pensiero era non essere potuta andare in colonia a Marina di Massa perchè avevo avuto l’insufficienza in matematica. A 6 ore di macchina da me, mentre Ligabue cantava “certe notti” e io mi strappavo i capelli davanti al video di “back For good” dei Take That, l’orrore era all’ordine del giorno, e la televisione ne parlava come una cosa “piuttosto lontana”. Un genocidio, mentre sulle spiagge opposte dello stesso lembo di mare la gente prendeva il sole.

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    E’ in questo la mia difficoltà di parlare di questa città, che adesso è viva e vitale, che ogni sera ha le vie invase dai giovani che bevono ai caffè, mangiano dolci e escono a divertirsi. E lo fanno in locali che spesso hanno le pareti trivellate di buchi, in palazzi che a volte sono ancora in parte distrutti. E hanno trent’anni, quindi “ai tempi”, loro c’erano. Fatico a parlare della città perchè non l’ho capita, perchè mi ha messo un germoglio dentro di cui ancora non capisco la pianta e non mi è dato ancora rendermi conto di dove sono stata. Più o meno la stessa sensazione che avevo avuto nei killing filelds in Cambogia o nei campi di tortura.

    E poi penso che quando sono uscita dall’S21 di Phnom Penh completamente sconvolta e ho chiesto al mio guidatore di tuk tuk di portarmi in hotel perchè non mi sentivo bene lui si è messo a ridere, come per tirarmi su di morale. E allo stesso modo mi sono sentita quando – dopo aver visitato il museo della storia- sono andata a bermi un caffè al Tito cafè, proprio sotto l’edificio che parla della devastazione balcanica dall’inizio ‘900. Si proprio un cafè pieno di busti e immagini del simpatico signore che è “celebre” per aver messo in piedi uno dei peggior genocidi della storia.

    Forse ci vuole un po’ di ironia, forse semplice si ride per non piangere.

    Sarajevo è bellissima. Ha un fascino strano, un misto di culture decisamente visibile. Ha l’aria di una vecchia signora, truccata per bene che ti guarda con gli occhi malinconici. E ti vien voglia di chiedergli la sua storia, di scoprire il perchè di quello sguardo.

    Ha degli scorci che ricordano Istanbul, a volte inciampi in palazzi splendidi, magari abbandonati e ti chiedi continuamente perchè. Solo “perchè”. Sarajevo non è Parigi e non è Londra, ma si fa amare.

    In un altro post un po’ più allegro cosa fare e cosa no. E intanto che ci penso cerco di togliermi la voglia di burek che mi è salita istantaneamente.

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    Balcani, Consigli di viaggio

    Dove non dormire a Sarajevo!

    foto (16)Chi mi conosce lo sa: sono drogata di storia recente, quella tangibile, quella che ancora è visibile nei solchi delle strade e nelle rughe della gente che ancora vive i posti che sono stati i teatri delle pagine dei libri di scuola. E quindi dopo Berlino e la Cambogia per completare il mio piccolo puzzle storico personale mancava solo lei, Sarajevo.
    Non so neanche bene perchè avessi una tale fissa. Comunque sia, qualunque fosse la motivazione le aspettative non sono state deluse, Sarajevo è bellissima, é una piccola Istanbul che si è scontrata con un moderno occidente e deve ancora capire qual’è la sua identità. E intanto lascia che la storia trasudi da ogni palazzo, da ogni buco di sparo e da ogni parete, per creare un atmosfera suggestiva ed emanare un fascino assolutamente unico.
    Ostello a parte. Quello no, quello faceva abbastanza schifo.  Viaggiando low budget abbiamo optato per il Tower hostel, poco lontano dal centro e che costava 15€ per notte. Allora: io non pretendo lussi sfrenati per una cifra del genere ma le prese per i fondelli mi fanno sempre un po’incavolare. Suoniamo il campanello di questa anonima porta in una via minuscola, ci accoglie un anziano e gentile signore che ci accompagna dal boss della questione. Dietro il bancone di uno scantinato ci aspetta un tizio “abbondantemente”sovrappeso,scalzo in pantaloncini da mare e maglietta bianca da pigiama pure un po’padellata. Perplessa guardo dentro alle porte e i letti a castello sono incastrati a tetris… Mmmh. Ci chiede se siamo proprio sicuri sicuri di volere la camera più economica che c’é. Ce la mostra, rimango decisamente perplessa. La “camera”consiste in un letto a castello in un corridoio, MA per 5 euro in più ci puó dare la camera adiacente al corridoio/stanza. Accettiamo e preferiamo la stanza di 2,5 metri di lunghezza per 1,90 di larghezza (misurato col metro umano) per circa 2m di altezza (sempre tenendo Gianni come unità di misura) per 20€. E poi non vuoi mettere la macchina nel cortile visto che fuori c’é pieno di vandali. Ok. Son 5€. Ammó. Alla fine 25€ che potevano essere meglio spesi, soprattutto non nella casa dei sette nani sotto vuoto.
    Ma siamo a Sarajevo e quindi chissenefrega!

    Abbiamo mollato tutto nello sgabuzzino in cui abbiamo dormito e siamo partiti subito alla volta della città. Ero decisamente emozionata.

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