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Africa, Egitto

Viaggiare ai tempi del terrorismo. Primo giorno al Cairo.

Visitareil Cairo nel 2016Ovviamente per questo post c’è stato da discutere.

Ovviamente a Gianni non è piaciuto, ovviamente Gianni mi ha detto di aver vissuto il Cairo diversamente, che tutte le sensazioni che ho provato evidentemente me le sono immaginate.

Mi sono incavolata. “Non lo pubblico”.

Poi dopo il volo di rientro ho deciso di buttarlo online e di usarlo per fare due riflessioni sul viaggiare, sulla sicurezza, sul terrore che ci attanaglia dopo gli eventi terroristici di Parigi, Bruxelles o Lahore.

Abbiamo preso il volo dal Cairo con Egyptair alle 4 di notte da Addis Abeba, siamo atterrati al Cairo dopo 3 ore di volo traballino. Abbiamo girato un po’ per l’aeroporto dove la wifi è libera ma per un tempo limitato. Al gate, due minuti prima di imbarcarci alle 9, Ale legge sul Fatto “dirottato volo Egyptair dal Cairo”: nulla di più, nulla di meno. Solo un titolo, un’informazione sommaria e frammentata.

Sono salita su quel volo con le gambe molli, pallida e senza forze come se stessi andando al patibolo: perché è così che mi sentivo, con un destino già segnato da un evento che nella mia testa suggestionabile era già ben definito. Dirottato aereo, esplosione, tragedia, il pensiero che “non fanno mai esplodere una bomba sola” mi pulsava nelle vene.

Ancora non si sapeva che il dirottatore fosse un cretino, ma un cretino che ha fatto dirottare un aereo.

Non riuscivo a smettere di pensare a tutti quei “continuate a viaggiare!”, “combattiamo con la leggerezza del viaggiare” mentre piantavo le unghie nella gamba di Gianni e cercavo di trattenere le lacrime della tensione.

Nel viaggiare non c’è leggerezza. Se vai in un resort 5 stelle può esserci relax e bellezza, ma se viaggi l’unica cosa che percepisci è una violentissima consapevolezza.

Consapevolezza dei tuoi limiti, della natura che può essere violenta oltre ogni limite, delle condizioni di repressione di uno stato, della povertà estrema di una nazione, del silenzio imposto ad interi popoli, della paura che ci sta facendo il terrorismo fisico e psicologico dell’ISIS, del valore dell’acqua in paesi come l’Etiopia, dove quando aprivi il rubinetto ed usciva una bava d’acqua era una gioia senza pari.

Questo in Egitto ed Etiopia è stato un viaggio intenso da tanti punti di vista: mi ha messo alla prova sia dal punto di vista fisico (nessuna dissenteria, ma l’igiene era perennemente scarsa) che quello psicologico: la povertà diffusa raggiunge dei limiti che ti fanno vergognare di avere delle calze e delle scarpe.

 

Viaggiare ti mette alla prova se hai voglia di sporcarti le mani. Ma solo questo sa dare forma al cuore.

Ecco qui il mio primo giorno al Cairo.

 

Stamattina mi sono svegliata con dei colpi fortissimi.

Dalla finestra sentivo urlare forte, altri colpi.

Ho cercato di capire se fossi sveglia o meno, mi sono concentrata per cercare di distinguere i suoni, i rumori, le urla se erano di dolore o meno.

Mi sono chiesta – immersa nella paranoia che mi accompagna condita da torpore cerebrale mattutino – se nelle strade del centro del Cairo stessero facendo una rivolta, oppure, fossero semplici spari sulla folla.

Come facciamo ad arrivare in aeroporto? Se arrivano in ostello? Cosa facciamo?

Arrivano chi, poi.

Dopo un po’ il frastuono si è fermato, come se si stessero allontanando poco a poco.

Ho aperto la finestra e guardato timidamente fuori: davanti a noi c’era un cantiere. Dall’alto del secondo piano lanciavano materiali che si schiantavano contro il cemento del vicolo.

Un muratore mi ha guardata incuriosito e perplesso.

 

Ho vissuto questa città così, col fiato sospeso. Sono partita da casa con la paura di finire in mezzo a qualche casino, di essere la sfortunata al posto sbagliato nel momento sbagliato.

Sono in aeroporto, tutto è filato liscio come l’olio.

Abbiamo visto le piramidi, il museo egizio, mangiato fino a scoppiare per 60 ore praticamente di fila.

Siamo arrivati di notte in una città trafficata, ma neanche troppo. I lunghi viali del centro si incrociavano con vicoli illuminati da una fioca luce azzurra, le strade avevano l’aria insolita e silenziosa che non ti aspetti in una città del genere.

Le lenzuola del Miami Hostel sapevano di bucato e i piedi nudi li potevi appoggiare su un parquet caldo e logoro.

 

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Il driver che ci ha raccattato in aeroporto si è proposto di farci da guida tra le piramidi il giorno dopo: il costo è stato di 300 lire egiziane (circa 7.50 euro a testa), avremmo potuto prendere mezzi di trasporto local (come la metro) e taxi, ma alla fine, avremmo risparmiato 3/4 € a testa e a volte non ne vale davvero la pena.

Per arrivare alle piramidi di Giza la strada è trafficata, e si attraversa un paesaggio fatto di  condomini non finiti e strade distrutte. L’autista ci spiega che finchè il condominio non è finito non si pagano le tasse, quindi non è insolito vedere interi quartieri di case con i fili di ferro che escono dalle colonne portanti, che svettano verso l’alto nell’attesa di un nuovo piano da costruire, magari per una famiglia che si allarga.P_20160316_092004

Prima tappa, negozio di papiri.

Ci viene fatta un’accurata spiegazione di come il papiro viene usato, intrecciato, pressato. E’ il classico stop “commissionato”, in cui il driver prende la mancia. Niente di diverso da un guidatore di tuk tuk thailandese in fondo. Non compriamo nulla, beviamo un caffè terribile offerto dalla casa. Il nostro driver è visibilmente scocciato dal nostro non volerci portare a casa un papiro con disegnato Gesù, il nostro segno zodiacale e o la storia egiziana nelle diverse fasi.

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Solo un dipinto mi incuriosisce: un grande albero con diversi uccelli colorati che rappresentano le varie fasi della vita. Per quello chiedono circa 40 €, letteralmente una follia.Ci scarica in una piazzetta, cercando di convincerci a noleggiare un cavallo o un cammello per fare il giro nella gigantesca area di 12 km2, perchè – secondo lui – non saremmo mai riusciti a visitare tutto.

Allora: partendo dal presupposto che tutta l’area è facilmente visitabile a piedi, io su un cavallo in quelle condizioni non ci sarei salita neanche se avessi dovuto attraversare il deserto del Sahara.Visibilmente troppo magri e maltrattati, con i segni e i solchi nelle frustate sulle gambe e sulle natiche, il muso sofferente. No, neanche per 3 €.

Il nostro driver è ancora più incazzato.

Entriamo, compriamo i biglietti per la zona delle piramidi più famosa: circa 8 euro per l’ingresso all’area, per entrare poi nelle piramidi vere e proprie è necessario un biglietto aggiuntivo dal prezzo esorbitante (20 € per entrare nella piramide di Cheope). Passati i controlli un ometto col turbante si impossessa con un gesto svelto e ci impone di seguirlo.

Cammello, dovete prendere un cammello. Sembra che senza ne vada della nostra sopravvivenza.

I cammelli stanno davvero male. L’ometto di impone di seguirlo nella sabbia, lontano dal percorso tracciato, noi lo seguiamo: ha in mano i nostri biglietti mentre ci continua a urlare “Come on! Come on!” Prendete un cammello. No. Non lo prendo il tuo cavolo di cammello.

E’ insistente, non ci da nessuna informazione aggiuntiva, non ci fa da guida.

E’ quello che ci tiene in ostaggio i nostri biglietti. Ci porta alla prima piramide, insiste per farci entrare, col biglietto a pagamento e la guida. Fa veramente perdere la pazienza.Mentre consegna i nostri biglietti alla guida numero due, Alessandro gli sfila di mano i biglietti. Ci diamo alla fuga, il piccolo uomo col turbante ci insegue. L’unica informazione che ci dà riguarda le luci che illuminano le piramidi. E quindi?IMG_3204

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Seconda piramide. Insiste. Ad un certo punto mi allontano per registrare il video. Vedo l’ometto allontanarsi a passo svelto. Non mi è dato sapere cosa gli sia stato detto, ma a quanto pare ha funzionato, anche se probabilmente ci scatenerà le ire dei piani alti nella prossima vita.

La situazione è surreale: ci sono tantissime scolaresche, turisti locali. La mia pelle è la più chiara in assoluto. Ho avvistato un altro paio di turisti in tutta l’area, oltre a noi.Credo che questo sia un segnale forte sulla situazione turistica egiziana. I turisti non ci sono, sono quasi spariti del tutto, sopraffatti da una paura – purtroppo – giustificata.

I venditori nell’area sono vertiginosamente calati, e i pochi rimasti sono più aggressivi e insistenti che mai. Ti chiedono soldi, trovano ogni metodo per metterti con le spalle al muro, al punto che hai quasi paura a dirgli di no. Usciamo dall’area, ai controlli di sicurezza, la ragazza che dovrebbe guardare il monitor dei raggi x sta giocando intensamente a Candy Crush, mentre borse e borsette che potrebbero contenere bombe a mano scorrono lentamente sullo schermo.

Andiamo nell’area Dahshur: i ragazzi entrano in una piramide, l’odore di ammoniaca e urina dicono essere soffocante, l’umidità ti stende. Io sono rimasta a prendere il sole mentre le tre guardie armate che sorvegliavano la porta mi guardavano con un aria incuriosita.

Tutti in realtà mi guardavano con aria incuriosita. Una maglietta a maniche corte e una testa non velata è qualcosa di insolito ai loro occhi. Gli uomini mi guardano con insistenza, mi sento fortemente a disagio. Una semplice maglietta, neanche attillata, qui è chiaramente scandalosa. Ci fermiamo a mangiare un kebab da Felfela un posto per local in cui si mangia in piedi e il cibo è ottimo. I panini sono soffici, ripieni di carne ottima. La carne qui è davvero speciale, buona da impazzire.

Rientriamo in ostello. Mi collego a internet e mi appare subito la notizia di un assalto con sparatoria avvenuto davanti alle piramidi qualche ora prima.

E’ questa la sensazione che hai addosso mentre giri per le vie del Cairo, che stia sempre per succedere qualcosa, o lì o vicino. Ti sembra si camminare sul baratro di una città pronta a implodere, anche se la situazione la vedi tranquilla.

La gente non sorride, non sono affabili. Sono a malapena gentili. Non sono stata in grado di decifrare la situazione, non ho avuto abbastanza tempo, ma la verità è che avevo una gran voglia di andarmene.

Ci siamo riposati un po’ in ostello, poi una nuova cena da Gat dopo aver provato una specie di fast food, dal pane freddo (il pane arabo qui è veramente favoloso, con i semini di sesamo che danno quel tocco in più ad un impasto già buono), una zuppa dal gusto indecifrabile (non voglio sapere cosa c’era dentro), un panino con le felafel (cattivo) e due tasche ripiene sempre di felafel fredde e decisamente cattive. Ovviamente consigliato dalla Lonely Planet. Torniamo da Gad, dove il cibo è divino.

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Abbiamo cercato tra le vie del centro un ristorante sudanese, ma senza successo. Le viette si incrociavano, una sull’altra, il mio disagio era decisamente palpabile. Ero l’unica donna nel raggio di chilometri, solo qua e là, qualcuna accompagnata dal marito spariva nell’ombra. Una venditrice ambulante vendeva fazzoletti. Non è un paese per donne.

Dopo aver bevuto un té alla menta e fumato il narghilè rientriamo in hotel. Un sonno denso e profondo mi accompagna fino al suono dei colpi che mi svegliano, con la paura che fuori stessero sparando.

 

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11 Comments

  • Reply cabiria

    Che dire…su quel “continuate a viaggiare” mi trovi perfettamente d’accordo, ma lo sai.
    Il resto l’ho letto col fiato sospeso, salvo scoppiare a ridere davanti alla foto del bacio tra Gianni e il cammello!
    Aspetto di leggere e ascoltare la tua Etiopia 🙂

    31 Marzo 2016 at 12:21
    • Reply Paola Annoni

      Quella foto non potevo non metterla <3
      A volte capire i propri limiti fa vedere tutto da un'altra prospettiva... E non fare i fenomeni ci fa sentire umani e con un cervello attaccato.
      Aver pensato "continuate a viaggiare... stocazzo!!" e ritrovarmi poi a pensare alla prossima meta. Follia?

      31 Marzo 2016 at 13:00
  • Reply Marika

    “Viaggiare ti mette alla prova se hai voglia di sporcarti le mani. Ma solo questo sa dare forma al cuore.”
    Verissimo, e questo è un post molto bello, di quelli dettati dalla pancia ma poi scritti con la testa.
    Anche quando i pensieri si confondono 🙂
    Bravissima!

    31 Marzo 2016 at 12:33
    • Reply Paola Annoni

      Grazie Marika! Viaggiare è anche questo: avere strizza, ma andare alla scoperta, superare i propri limiti.
      E’ quello che ci sta dando forma, no?
      <3

      31 Marzo 2016 at 12:58
  • Reply Patrick

    Come è cambiato l’Egitto e come sono cambiate anche le nostre sensazioni. I venditori e i cammellieri sono sempre stati insistenti, ma finiva lì. Ora probabilmente la loro insistenza è acuita dalla disperazione (che forse spiega anche lo stato dei cammelli sempre peggiore). Sono stato al Cairo due volte ed è una città che un po’ di inquietudine la metteva. La folla, la povertà, gli scheletri dei palazzi non finiti, ma gli egiziani regalavano anche sorrisi e un po’ di calore, magari di facciata a volte, ma era così.
    Non siete stati al museo del Cairo, vedo. Era bellissimo.
    Cosa devo dire, forse in parte ha ragione Gianni, come mostra anche il tuo risveglio. Ma le sensazioni non si immaginano, si provano. Un posto molto pieno, denso, bello, anche se con un tono più inquieto del solito. Non vedo l’ora di leggere i prossimi post!

    31 Marzo 2016 at 12:39
    • Reply Paola Annoni

      Ci siamo stati il giorno dopo… Molto bello anche se davvero mal tenuto. Non ho trovato mai gentilezza gratuita o un atteggiamento positivo purtroppo. Sto leggendo Paul Theroux con il suo dark star safari. Le sue parole solo bellissime mentre raccontano di un Egitto “insistente ma bellissimo”, come dici tu. Rabbia e disperazione portano a questo. Purtroppo…

      31 Marzo 2016 at 12:57
  • Reply Letizia

    Non è un paese per donne. Esattamente. Ho provato la stessa cosa quando ci sono stata. Eravamo tre ragazze, si parla di 15 anni fa, ma io mi sentivo in forte disagio. Soprattutto perché ho gli occhi azzurri, sembrava di averli tutti addosso. La bellezza della città fa da contrasto alla gente che affabile secondo me non lo è mai stata. Ricordo una guida, donna, che ci guardava con disprezzo. Un paese enigmatico dove però vorrei tornare. Posti come Abu Simbel ti restano nel cuore.

    31 Marzo 2016 at 18:23
    • Reply Paola Annoni

      Le piramidi, i vicoli, gli angoli dove i kebab sfrigolano.Il Cairo ha un fascino unico, ma i nostri occhi di donne occidentali, evidentemente, non sono fatti per quello.
      La gente è dura, e purtroppo quello è uno dei più forti termometri in un viaggio…

      1 Aprile 2016 at 15:39
  • Reply Francesca

    Paola, quoterei ogni tua frase, specie quando scrivi del viaggiare in questo periodo particolare.
    Mi trovo d’accordo con Patrick, ma non mi riferisco alle tue percezioni, quelle sono tue, soggettive e personali, piuttosto su quello che probabilmente era l’Egitto fino a qualche anno fa.
    Ci sono stata nel 2011, dopo la Primavera Araba. Ricordo Il Cairo come una città incasinatissima, sporca, caotica e nella quale era facile imbattersi ancora in qualche focolaio di protesta, ma mai nulla di preoccupante: l’ho amata da subito, ma non so dirti bene perché.
    Ricordo l’accoglienza degli Egiziani: sempre molto insistenti nel venderti qualcosa, ma non scorderò mai i sorrisi, le foto che ci facevano e gli applausi al nostro passare. La guida ci disse che non si vedeva un gruppo cosi numeroso di turisti da troppo tempo – eravamo all’incirca 10 persone – e il nostro essere la era vissuto come un segnale di speranza.
    Ho assistito anche alla scena più brutta che mi sia mai capitato di vedere in cui fosse coinvolta una donna: una coppia di anziani fuori da una moschea, lei gli porge dell’acqua da bere, lui la mette in bocca e poi gliela sputa in faccia. Senza un motivo. Non dimenticherò mai l’espressione di lei e la sensazione che mi ha lasciato.
    Comprendo anche il disagio di sentirsi sempre gli occhi addosso, un’attenzione morbosa e subdola che non mai ho percepito in nessun altro Paese.
    Le tue foto e le parole mi fanno capire che purtroppo la situazione è sprofondata e per me è un colpo al cuore: l’Egitto ha tante ombre, ma anche qualcosa di magico e spero che sappia ritrovarlo.

    1 Aprile 2016 at 14:51
  • Reply lise.charmel

    sono d’accordo con chi ha scritto che le sensazioni si provano, non si immaginano. e tu non mi sembri affatto una paranoica.
    ultimamente comunque sparano anche nei resort a 5 stelle

    7 Aprile 2016 at 18:20
    • Reply Paola Annoni

      Purtroppo il punto è proprio questo…Non siamo più tranquilli da nessuna parte, è tutta una questione di percezione e sensazione.
      CI sono posti che la alimentano e altri meno… Forse.
      ti abbraccio

      8 Aprile 2016 at 9:32

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