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Una festa a lungo attesa… ovvero: Angkor, arrivo!

Ho sempre sentito pareri contrastanti sul primo capitolo del Signore degli Anelli. La maggior parte delle persone lo considera pesante e ripetitivo. Col senno di poi credo che Angkor per me e per chi mi è stato accanto sia stata davvero una festa a lungo attesa. Sono stata davvero pesantissima. Ho parlato di Angkor ininterrottamente penso da… sempre.

E adesso ho passato due giorni meravigliosi in quel paradiso mistico che è Angkor. Chi non ha una spiritualità qui gli viene, garantito al limone.

Angkor è il cuore dell’impero Khmer sorto in Indocina tra il IX e XIII secolo e oggi, oltre al sito religioso più grande del mondo anche uno dei siti archeologici più strabilianti che la storia ci abbia regalato.

Ma per conoscere Angkor basta prendere la dettagliata guida della National Geographic (le pagine si staccheranno una ad una ad ogni passo e ad ogni minimo movimento… è la guida ad essere fatta male e io ne sono sicura visto che l’ho rispedita ad amazon in 10 minuti e adesso, che l’ho comprata in una libreria, ha avuto lo stesso problema), questa è la mia Angkor.

Sono riuscita a contrattare 15 dollari per avere il tuk tuk tutto il giorno (il prezzo medio è intorno ai 20 dollari) e nonostante io sia davvero distrutta dagli spostamenti (arrivare da Bangkok è stata una faticaccia… possibile che sia ancora così difficile?) e dal fatto che non riesca a dormire (sono solo 6 ore di fuso ma questo giro non riesco assolutamente a prendere il ritmo) ho scelto di svegliarmi alle 5 meno un quarto per essere pronta a vedere l’alba e per avere un primo impatto e un ricordo memorabile che questi templi.

In 15 minuti di tuk tuk (forse meno, per me è totalmente cullante e mi viene sempre un po’ di sonnolenza, quindi  credo siano solo 15 minuti al massimo) si arriva ad Angkor e si viene lasciati davanti alla biglietteria. Sono due: quella davanti, per i biglietti di due o più giorni, quella dietro per i biglietti singoli. Non serve più la foto perchè hanno digitalizzato il tutto (le foto fatte a Bangkok posso direttamente buttarle nel bidone visto che non sono servite né per il visto né per l’ingresso ad Angkor…), e via. Altra foto con faccia pessima orribile e rimbambita ma, hei… è il pass per entrare ad Angkor!

Il poco simpatico e propenso al dialogo conducente mi vuole mollare davanti ad Angkor, ma gli chiedo di portarmi al Bayon, situato dentro le cinta murarie di Angkor Thom, è uno dei templi più importanti oltre ad essere ancora ben conservato (si possono chiaramente distinguere le incisioni sui muri… non bene come nella terrazza del re lebbroso ma è un tempio di un’imponenza disarmante).

Ho visto l‘alba in uno dei templi più grandiosi del sito da sola.

SOLA!

Vi amo caproni.

Non mi sento la persona più furba del mondo (anche perchè lo suggeriva anche la Lonley Planet), ho solo saltato e invertito la rotta classica che parte da Angkor Wat e il mio primo contatto con il posto che sognavo e desideravo vedere non so da quanti anni è stato questo: immersa in un silenzio quasi innaturale, lasciando che poco a poco la luce dischiudesse davanti a me la meraviglia.

Sono sicura che me lo ricorderò per sempre, è stato incredibile vedere il Bayon prendere forma poco a poco davanti ai miei occhi, ho fatto moltissime fotografie, ma poi mi sono lasciata avvolgere dalla spiritualità, dalla natura, dal momento. La meraviglia che rende, a mio parere, magica Angkor è proprio questa straordinaria armonia con la natura, questa naturale religiosità che ti fa capire che se un dio c’è, è contento se non rompiamo troppo le scatole a quello che lui aveva originariamente costruito. Ho vagato per il Bayon per quasi un’ora, mi sono seduta a guardarlo da dentro, forse poco cosciente di dov’ero.

Ho girato per tutta la zona di Angkor Thom per quasi 4 ore. Palazzo reale, terrazza degli elefanti, Baphuon, Preah Puthu… c’è un elenco infinito di templi, piccoli “mucchi di pietre” che sanno essere emozionanti. Comunque sia, mi sono lasciata intortare da due bambini che facevano le guide dentro un tempio e ho finanziato la loro scuola per bambini poveri. Dopo li ho visti davvero andare a scuola vestiti di tutto punto e con addirittura le scarpe, ma gli ho lasciato troppi soldi. Davvero!

Ho passato ore in solitaria (strano e eccezionale non incontrare nessuno per ore), mi sono seduta in angoli ombreggiati per riprendere fiato, come colazione un ananas dolcissimo. Era così che me l’ero immaginato e che l’ho desiderato intensamente ed è incredibile avercela fatta.

Ho sempre il terrore di rimanere delusa dai posti su cui ho riversato mille aspettative: la Cambogia come Istanbul (dove sono stata portata per esasperazione…non mia, di qualcun altro!) è uno di quei posti che scatenano in me quella voglia di ricerca e di conoscenza che una città come Las Vegas non potrebbe mai far emergere. Amo i posti dove la storia è prepotentemente visibile e tangibile, dove le persone che incontri potrebbero essere state parte della storia. A Las Vegas l’unica ispirazione che potrei avere è incontrare Gil Grissom.

Comunque sì, mi sono tenuta per la fine della mia giornata tra le antiche strade di Angkor il tempio di Ta Phrom, uno dei più famosi in assoluto per essere stato inglobato dalle piante, dalle radici un un abbraccio (o in una morsa?) famoso in tutto il mondo. Effettivamente è fantastico.

Se non fosse che ho incontrato un gruppo di italiani in viaggio tra cui spiccava per volume della voce una “acuta” (non nel senso di scaltra… nel senso di livello di voce fastidioso più per i cani che per gli umani) di signora che cercava in tutti i modi di far tornare indietro il gruppo perchè voleva assolutamente comprare un flauto di bambù. Ma perchè? Ma perchè dobbiamo essere sempre i classici italiani all’estero? Ovviamente non farei mai di un erba un fascio ma, già ce ne sono pochi in viaggio qui, figuriamoci se non siamo riconoscibili.

A proposito di flauti di bambù: un tipo mi ha inseguita cercando di vendermelo suonandomi ininterrottamente per 5 minuti “la Bamba”. Forse era il caso che gli dicessi che quello era davvero un metodo poco convincente.

Sulla strada di quasi tutti i templi si trova una palchetto su cui suonano gruppetti composti da sopravvissuti alle mine antinuomo: mutilati o invalidi suonano una musica a dir poco divina; peccato che il cd costasse 10 dollari, un prezzo davvero eccessivo contando che mangi tranquillamente un pranzo completo con 4 dollari.

A Ta Phrom c’è un’invasione di giapponesi e cinesi: sono ovunque, e sono particolarmente antipatici. Uno si è incavolato come una iena perchè non riusciva a fare la foto nell’angolo più famoso del tempio senza avere nessuno davanti. E ha cominciato a cercare di spostare fisicamente tutti dalla sua area di scatto. Ovviamente mi sono piazzata più in mezzo che potevo.

All’una sono tornata alla guesthouse: quasi 8 ore di camminata sotto il sole battente avendo dormito circa 4 ore sono troppe anche per me, tornando mi sono addormentata sul tuk tuk. Sul serio.

Ho dormito un po’ dopo essermi fatta una doccia infinita (sabbia polvere e sudore sono sempre un pessimo mix) e poi, con le gambe di legno sono andata disperatamente a cercare del cibo e a provare finalmente un Amok come si deve.

L’Amok è il piatto tipico cambogiano: pesce cotto nel latte di cocco e avvolto in foglie di palma.

Buonissimo.

Ho cenato, e alle 8 sono andata a letto. Davvero morta ma felice come non mai.

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