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Giappone, Viaggi

Narnia! Ops, No! E’ Miyajima!

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La mattina seguente all’arrivo a Hiroshima, con un tempo orribile (credo punizione divina per aver cazzeggiato per una mezza giornata abbondante) ci incamminiamo per Miyajima (o ci intreniamo? Come si dice?), patrimonio dell’UNESCO ed una delle maggiori attrattive del Giappone… un posto fighissimo, insomma.

Ci si arriva con trenino metropolitana della JR e traghetto, sempre della stessa compagnia, e quindi con il Japan Rail Pass è comodo e tutto incluso, anche se, per una volta stranamente, il costo sarebbe stato piuttosto ridotto (circa 10 euro). Arrivando sull’isola, si può vedere il Torii più famoso di tutto il Giappone, quella specie di ponteggio enorme e arancione che domina la baia e le cartoline di qualsiasi località del Sol Levante, ma non si può dire nulla, è effettivamente un paesaggio mistico ed è la perfetta ciliegina sulla torta di un mondo incantato. Meno erbacce e meno foresta, ma mi ha ricordato Narnia!

Boschetto, cerbiatto, piccola baia, cerbiatto, cerbiatto, uccellini, tempio perfettamente tenuto… a un certo punto mi son messa a cercare il fauno!

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Appena scesi dal traghetto si viene accolti da innumerevoli bambi che cercano di mangiarti qualsiasi cosa: cibo (ovvio), zaino, brochure, ma sono così dolci che ti faresti mangiare anche una mano. Mi sono messa a giocare con loro come una bambina, accarezzandoli e abbracciandoli come se fossero cuccioli di cane o gatto. I cerbiatti però scalciano, attaccano e divorano tutto quello che gli capita a tiro (a Nara, dove c’è molta più gente e molti più cerbiatti, ho visto scene esilaranti di bambini in fuga e ragazze che facevano le modelle di Vogue in posa litigare con animali che tentavano di mangiar loro la borsa), ma con me sono stati bravissimi… avrò mica doti da Biancaneve?

Freddo sommato a sveglia presto significa che devo aumentare la dose quotidiana di caffè bollente e dolcetti, che sull’isola di Miyajima sicuramente non mancano. Ad ogni angolo si trovano negozietti con produzione propria di dolci a forma di foglia d’acero ripieni di tutto quello che si può desiderare, dalla crema pasticcera alle nocciole, si può anche vedere come li fanno e se si è fortunati e si ha il tempismo giusto di può anche arrivare ad assaggiarli caldi (sono dolci che comunque vengono incartati e inscatolati). Sono, come si può ben immaginare, buonissimi. Ma forse il mio giudizio da dolcedipendente è poco credibile e poco serio.

A parte i cerbiatti, anche se in una giornata grigia, l’isola è splendida, tra canali, case storiche, santuari e templi, e si può passeggiare sia sul lungo mare (o farsi la passeggiata del Misen che porta sulla parte più alta dell’isola) che tra i negozietti e i piccoli agglomerati di case. Anche i negozietti di chincaglierie sono belli.

E’ un’ambientazione quasi surreale, fuori dal tempo, romantica e in quello stile giapponese che ti aspetti, inserita in quell’immaginario collettivo fatto di perfezione e bonsai curati (possibilmente curati da uno che è anche un maestro di Karate), i viali pieni di ristorantini in cui mangiare seduti sul tatami (e farsi andare in cancrena entrambe le gambe a star seduti come loro).

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Per entrare nel tempio più celebre, Itsukushima- Jinja, si paga un biglietto di 300 yen, salvo poi scoprire che dall’uscita si può tranquillamente entrare perché non c’è nessun tipo di controllo: ecco perché si vive bene in Giappone, perché la gente è fottutamente onesta! Concedetemelo, se trasportassimo questo fantastico tempio che sembra un molo (con l’alta marea sembra galleggiare) in Italia, quanta gente pagherebbe il biglietto? Quanta entrerebbe dall’uscita? Sarò un’italiana anomala e polemica ma è tristemente vero. Lì entri, paghi, fai il tuo bel giretto dentro ed esci. Comunque sia questa è un’info utile per chi non vuol pagare. Mi son fregata da sola!

Sul meraviglioso molo con il Torii sullo sfondo abbiamo avuto la fortuna di assistere a un servizio fotografico matrimoniale, dove una coppia di ragazzi in abiti tradizionali, subiva le innumerevoli imposizioni di fotografi e di un team di donne che per un tempo infinito hanno aggiustato OGNI SINGOLA PIEGA dell’abito di quella povera sposa che rimaneva impassibile ad ogni richiesta…a un certo punto ha sorriso, mi sembrava avesse 20 anni in meno. Le foto sono impostatissime e anche un solo movimento della mano in una posizione sbagliata, credo potesse compromettere tutta la riuscita della plastica composizione del fotografo. Penso che se qualcuno facesse vedere loro le foto dei matrimoni da questa parte del mondo, dove gli sposi senza scarpe si rotolano tra i balloni di fieno, potrebbe tranquillamente scatenare ictus.

Sono belli, impostati, di gesso, non lasciano trasparire gioia o emozioni, non so se per imposizione sociale o perché, magari “vittime” di un matrimonio combinato, quei sentimenti di gioia interiore proprio non ce li hanno. Li ho osservati e fotografati per un tempo infinito, lo sposo era allegro fuori dal campo della macchina fotografica. La sposa era la più triste che avessi mai visto. E mi ha commosso di più la coppia di gay spagnola che avevo dietro, che si sono detti “quanto sarebbe bello sposarci qui!”, in quella maniera sincera di chi si ama e che non deve farlo per forza.

Una delle caratteristiche dell’isola è la sovrabbondanza di ostriche, che vengono cucinate in tutti i modi possibili e immaginabili (fritte, alla griglia, nella zuppa…) ma, non so se per l’effetto di Fukushima, sono ENORMI, davvero, roba così buona e cicciona dalle nostre parti non si trova neanche a pagarla oro. Per il pranzo optiamo per un ristorantino fuori dal centro storico (una via secondaria, non molto lontano direi!) dove riso e ostriche fritte e un’ottima zuppa scalderebbero qualsiasi animo. Ovunque, volendo, alla tariffa standard che in Giappone usano per tutto (500 yen) si trovano spiedini di ostriche o snacks vari, ma come sempre, di spendere 5 euro per mangiare un micro assaggio di qualcosa non ne ho voglia.

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Mi sono un po’ documentata e a Miyajima non si nasce e non si muore, ci si vive in villette meravigliose da 100 bilioni di euro e saltellando tra canali e animaletti (veri o immaginari). Non si può non innamorarsi. E’ fisiologico. Peccato sempre per il tempo che non è clemente: pioggia, hai rotto.

Se poi pensate di farvi un giro sul risciò trainato da un simpatico ometto dalle cosce grosse e dai polpacci possenti, mettete in conto almeno una cinquantina di euro per un giretto di 15 minuti. Caratteristico, carino, ma io non l’avrei fatto neanche se ne fosse costati 5 perché l’idea di questo che rischia un’ernia del disco per trainarmi mi fa accapponare la pelle. Poi lo sforzo, lui che suda per portare me turista a fare un giro… no, no, son quelle cose che mi inorridiscono. Però hanno tutti dei fisicacci… Comunque sia, torniamo a riva, e sul treno, come spesso capita, un ragazzo si sposta per farci sedere in due posti vicini, e penso sempre di più che il Giappone sia un’utopia realizzata.
Miyajima, 10 e lode!

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