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Etiopia

Sulle strade di Addis Abeba


Addis Abeba

Il viaggio dilata i tempi, l’Africa te li scioglie come una goccia di curcuma in un bicchiere di latte.

Le tinte ocra dell’Egitto sono state sostituite da un verde pallido e un marrone intenso, che varia nelle sfumature a seconda delle nuvole che si muovono in un cielo dall’azzurro pallido.

Oggi abbiamo fatto la traversata da Addis Abeba, ad Arba Minch, su una strada asfaltata, con un caldo che cuoceva l’anima.

L’Etiopia me l’aspettavo secca e desertica, invece non è così brulla.

Ma partiamo dall’inizio.

Siamo partiti dal Cairo verso le 11, per arrivare ad Addis Abeba in una silenziosa e profonda notte. Alle 4, in aeroporto, non c’è nessuno.

Sul volo avevo accanto un ragazzo etiope che studia a Bologna, parlava un po’ italiano. Era felice, tornava a casa e rideva per ogni cosa intensamente. Aveva addosso quella ridarola dei viaggi stanchi e felici, verso una destinazione sicura che può essere solo casa.P_20160318_032600_BF

 

Recuperiamo i bagagli: il mio zaino puzza di pesce ed è tutto umidiccio. Per fortuna la mia mania di ficcare tutto dentro sacchetti di plastica chiusi ermeticamente a volte serve a qualcosa.

Ci mettiamo in fila per la richiesta di visto on arrival, la compilazione è tutta manuale, ma non mi lamento: le ragazze sorridono, compilano ogni angolo del visto, usano qualche parola di italiano per darci il benvenuto.

L’adrenalina del volo mi tiene sveglia, altrimenti credo morirei di stanchezza sulla più lurida delle poltroncine. Subito fuori dalle porte ci offrono un taxi: 400 bir per fare 8 km: una follia che ti possono chiedere solo a un’orario indecente, quando atterri in un paese straniero per la prima volta.

Trattiamo, sembra impossibile.

Esco dall’aeroporto a vedere se ci sono taxi liberi, la guardia alla porta mi dice che non posso più rientrare. Chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori. La mia tolleranza a certe cose alle 4 di notte rasenta lo zero assoluto. Mi ferma con un braccio rigido davanti a sè, follia.

 

Ci dirigiamo dai taxi, Gianni trova uno che tratta e concordiamo sui 240 birr: è tanto, ma abbiamo voglia di andare. La zona è deserta, la situazione pesante.

Faccio uno dei miei soliti rituali: mi metto a fotografare targa e licenza, tanto per chiarire al taxista che qualsiasi cosa succeda, io mi sono segnata tutto. Un altro si avvicina e mi ripete “safe, safe, this is safe!”. Ci infiliamo in questo minuscolo taxi che assomiglia più a una fiat 127 che a un’auto vera, mi sembra di essere nella barzelletta dei quattro elefanti nella cinquecento. Le strade sono deserte, se ci portasse in un vicolo cieco e ci facesse a fette non se ne accorgerebbe nessuno.P_20160318_041923

La strada che porta allo storico hotel Taitu è piena di gente, prostitute e ragazzi di strada in un fascio di luce rosa azzurra popolano una strada scassata. Voglio solo andare a letto. Disperatamente.

La ragazza della reception ci accoglie in pigiama con tanto di orsetto davanti, ci dà le chiavi, non capisce bene neanche chi siamo, non ci chiede i documenti. Non importa, basta tornare a dormire.

Sono quasi le 5.

Guardo il mio zaino e lo vedo come un comodo cuscino, guardo il divanetto e mi sembra la cosa più comoda del mondo.

Ci infiliamo in un letto pulito. Non sono mai stata così comoda.

Non mi lavo i denti, perchè nel quartiere non c’è l’acqua.

Scopro che alle volte quando non c’è l’acqua c’è l’elettricità, quando c’è l’acqua manca l’elettricità: salta tutto, rimani al buio e ti chiedi guardando nelle luci flebili dei generatori se i due fenomeni siano interconnessi, come se ci fosse un grande unico motore per tutto.

Non riesco a svegliarmi.

Andare a letto alle 5 dopo la notte in viaggio, la tensione, l’aereo, la notte in una città nuova: sembra che tutto si fosse sciolto dentro quelle lenzuola dal vago odore di bucato.P_20160318_115408

 

Arriva Fabio dal suo hotel vicino all’aeroporto e poi incontriamo Andy, la nostra guida.

E’ allegro, ben vestito, ha dei modi gentili, il suo inglese è sporcato solo leggermente dalla sua provenienza etiope, altrimenti si può definire praticamente perfetto.

Tutti mi chiedono perchè sono così silenziosa: il viaggio, le strade polverose, rumori nuovi, il caos di una megaolopoli africana che nella mia mente non si ricollega a nulla: è tutto nuovo.

Cerco l’associazione mentale con l’India, ma – a parte il caos – non c’è.IMG_9669

Citando Wikipedia “è la capitale dell’Etiopia dell’Unione Africana con 3.273.000 abitanti stimati a luglio 2015. Nella città convivono 80 nazionalità e lingue diverse, con comunità religiose cristiane, musulmane ed ebraiche”, dove ci sono zone moderne, edifici futuristici, qualche hotel di lusso e una quantità impressionante di persone che vivono per strada.

La percentuale di persone che vivono sotto la soglia di poverà in Etiopia è calata negli ultimi anni e sono passati da un 44% ad un 30 solo dal 2000 ad oggi, e la percentuale delle persone malnutrite è passata dal 75% degli anni ’90 al 35% di oggi.

Favolosi come dati, no? Finchè restano astratti. Ma se ti fermi un attimo a pensare e a fare due conti con la calcolatrice e a fare un paragone, il tutto diventa mostruoso.

Fate due conti: il 30% di 94 milioni (popolazione etiope) è 28 milioni. In Italia siamo 59 milioni circa. Provate ad immaginare la metà dell’Italia (come numero di persone) che vive sotto la soglia di povertà e quindi con meno di 2 dollari al giorno (in realtà ho trovato articoli e statistiche che parlano di 37 milioni di persone).

Le percentuali si fanno persone e se provi a pensare a cosa puoi fare con circa 1 dollaro al giorno – calcolando che un caffè da Starbucks spesso lo paghi più di 3 dollari – ti si gela il sangue nelle vene.

Mi guardo in giro e cerco di abituare gli occhi. La pancia e l’anima credo davvero sia dura.

 

Andy ci porta a mangiare qualcosa da Romina, un ristorante / pasticceria dove proviamo la prima injera: il piatto base della cucina etiope viene preparato con la farina di teff, un cereale degli altipiani:  una larga crepe dal colore che varia dal giallino al bianco sporco al grigio (a volte davvero intenso). Ha un retrogusto leggermente acidulo ed è la base di ogni piatto. Sopra, come se fosse una tela da decorare, vengono posizionati tutti gli accompagnamenti. Quasi sempre patate, cavolo verza, rape rosse, a volte il riso. Si mangia con le mani, o meglio, con la mano destra. Cerchi di infilarti tutto in bocca cercando di non sporcarti in maniera rovinosa dalla testa ai piedi.


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Facciamo uno stop per una sim card della Ethio Telecom, che non costa nulla e si ricarica facilmente componendo semplicemente un codice: la connessione 3G prende praticamente ovunque.

 

In città le cose da vedere sono poche: il museo Etnografico dove “riposa” la celebre Lucy (la nostra “bisnonna” risale a 3.2 milioni di anni fa che è stata scoperta il 24 novembre 1974 dal paleoantropologo Donald Johanson, a una sessantina di chilometri da Addis Abeba), alcune chiese, il Merkato (il più grande mercato di tutta l’Africa), alcuni palazzi dall’aria palesemente fascista.

Addis Abeba ti lascia dentro un senso di sospeso e precario: come se tutto dovesse implodere da un momento all’altro e comunque, nessuno sarebbe poi troppo contrariato.

Il giro al Merkato è d’obbligo: un mondo dentro ad un mondo, in cui i turisti non esistono (e se ci sono al massimo li trovi in un piccolo capannone dove vendono chincaglieria a prezzi folli), poi si susseguono barili di benzina, ferramenta, cibo, pentolame, vestiti, scarpe.

E’ immenso, oltre ogni umana immaginazione.

Tutta Addis Abeba credo sia oltre ogni umana immaginazione.

 

Informazioni pratiche: l’hotel Thaitu ve lo sconsiglio, è storico ed è in una zona comoda ma le stanze – anche se pulite – sono mal messe. AL ristorante a pranzo c’è un fornito buffet vegetariano per solo 70 birr (circa 2.8€). Per la stessa cifra vi consiglio il Wudasie Castle Hotel, più lontano dal centro ma molto carino e con un locale economico e buono (consigliato da Mark Wiens proprio davanti). E’ ottimo e pulito.

I taxisti vi chiederanno sempre cifre folli, dite che il vostro ultimo giorno a Addis Abeba e che sapete le tariffe, per tutte le tratte (a meno che non siano sopra i 10 km) non dategli più di 200 birr… E’ già tanto. Se avete modo usate la nuova linea metropolitana (costruita dai cinesi!): economica e rapida, meglio dei taxi per i lunghi spostamenti.

Il museo etnografico è interessante, un po’ misero, ma merita una visita (costa solo 10 birr).

Il ristorante Romina è consigliatissimo: noi siamo andati in periodo di quaresima quindi era praticamente tutto vegetariano, ma la scelta è ampia, anche di piatti stranieri.

Al Merkato, se potete, fatevi accompagnare da qualcuno: non ci sono problemi di sicurezza (nella zona islamica vi guarderanno sempre e comunque malissimo e non vogliono che li fotografi),, ma è immenso e davvero rischi di perderti e non uscirne mai più.

 

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10 Comments

  • Reply La Ste

    Mi ci sono persa dentro queste tue parole. Non era una destinazione alla quale miravo ma l’ho fatta mia in qualche minuto. Io li cerco, i racconti così!

    5 Aprile 2016 at 21:22
    • Reply Paola Annoni

      Spero allora di farti innamorare con i prossimi <3 Grazie!

      8 Aprile 2016 at 9:06
  • Reply Luca

    ma che lavoro fai per pagarti tutti questi viaggi?

    5 Aprile 2016 at 23:47
    • Reply Paola Annoni

      SE non è una provocazione ti rispondo molto volentieri in privato. Ne faccio così tanti di lavori che serve una mail 🙂

      8 Aprile 2016 at 9:09
  • Reply dueingrio

    Ma non è vero che dentro all’aeroporto una volta usciti non si può più rientrare 😀 ! Noi ci siamo stati una notte in aeroporto prima di partire per Bahar Dar e non ci hanno fatto problemi… ma poim quanto dura non è stato trattare 😀 !!!

    6 Aprile 2016 at 16:55
    • Reply Paola Annoni

      Ti immagini la scena? 4 di notte, questo che si impunta per non farmi rientrare con sto braccio teso. Eh? Non ci potevo credere…
      Piccole follie da viaggio!

      8 Aprile 2016 at 9:10
  • Reply Deborah

    Hai descritto così bene la situazione, il caos e le emozioni che per alcuni minuti mi sono sentita una tua compagna di viaggio!! 🙂

    15 Aprile 2016 at 10:13
  • Reply Patrick

    L’avevo già letto, ma me lo sono riletto tutto. L’Etiopia è da anni fra i viaggi che vorrei fare. L’associazione con l’India… probabilmente c’è nella sensazione iniziale di trovarsi in un mondo caotico e incomprensibile.

    16 Novembre 2016 at 15:47
  • Reply Simona

    Leggermi tutto questo a poche ore dalla partenza mi permette di capire e sapere bene cosa dovrò aspettarmi! Hai descritto divinamente, a prescindere dal fatto che vivrò le stesse sensazioni o meno… Curiosa di vedere come vivrò io l’atmosfera anche se non ho dubbi sullo shock iniziale.
    Bellissimo il tuo articolo!

    27 Dicembre 2017 at 21:09
    • Reply Paola Annoni

      Sai che mi sono riletta anche io?
      Che strano rivivere quel viaggio, quelle sensazioni. Non vedo l’ora di leggerti, perchè l’Etiopia attraverso il tuo cuore e i tuoi occhi sarà sicuramente uno spettacolo!
      ti abbraccio

      29 Dicembre 2017 at 17:01

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