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Africa, Etiopia

Tribù nella Valle dell’Omo: Dorze, Dassenech, Ari, Konzo e Mursi

La valle dell’Omo è un angolo di mondo che sembra essere stato dimenticato dall’evoluzione, dal resto del mondo. LE vallate sono spesso verdi, la terra secca è nelle lunghe pianure.

Scoprire poco a poco i popoli che costellano questo pezzo di Etiopia era l’obbiettivo del viaggio, ci siamo quindi immersi in questa densa avventura: ho cercato di appuntarmi tutto quello che riuscivo a scopire, tutto quello che non si trova se non nei loro racconti.

La prima tappa, sulle montagne intorno ad Arba Minch: i Dorze.

La gente vive di turismo (c’è un piccolo lodge fatto di capanne all’interno, oltretutto molto carino), di tessitura (sul retro del villaggio si può visitare una  piccola impresa dentro in cui uomini filano anche la domenica), qualche prodotto della terra e pastorizia.P_20160320_111337

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E’ stato il primo impatto con una tribù, gente che vive in modo curioso e decisamente lontano dal nostro mondo.

Stiamo ad ascotare la nostra guida locale ci racconta che sono tutti cristinani, il the lo fanno con le foglie de caffè (e non ci mettono zucchero ma spezie), la loro danza tradizionale si basa su un movimento di fianchi ma per i funerali saltano come i Masai, i loro asciugamani sono fatti con striscioline di foglie di banano.

Le loro case sono davvero curiose, perchè se le guardi bene, hanno la forma di un elefante (per ricordare che su quella terra gli elefanti vivevano in libertà) con tanto di orecchie e proboscide: sono davvero altissime, perchè nonostante durino davvero tantissimo (dai 70 ai 120 anni), le termiti attaccano le fondamenta e quindi la casa si “abbassa” poco alla volta. Case che – oltretutto – sono anche mobili.

Nelle case c’è un letto, se arrivano gli ospiti però dormono in terra.

Fanno la loro birra locale che poi bevono dentro alla calabash, una zucca dura e vuota (che non si mangia)… Ovviamente non ha nulla a che vedere con quello che noi consideriamo birra.

Il 15 settembre c’è la loro più grande festa: ammazzano gli animali (da cui poi fanno le sedie) e festeggiano a suon di alcol.

Vivono – ovviamente – del principio che non si butta via niente: filano il cotone, con i semi ci fanno l’olio, il cotone lo filano e poi lo tingono con colori naturali.

Proprio dentro al villaggio c’è una piccola piantagione di “falsi banani”, in pratica un pianta che assomiglia in tutto e per tutto a un banano, ma che non fa frutto. Loro li tengono perchè usano le foglie come mangimi per animali, come ombrelli, come materiale da costruzione.

L’ossatura centrale della foglia viene “grattata” e la poltiglia che ne esce tenuta da parte, messa sotto terra per due o tre mesi e poi reimpastata come una farina: l’odore di questa pappa di foglia di finta banana ha un odore fortissimo e sembra di annusare un formaggio di capra un po’ cagliato e stagionato. Questo impasto, chiamato Kocho, viene usato per fare una specie di piadina, che devo ammettere, non è per niente male.

Un altro prodotto localeè l’ Hareke, un liquore locale dalla bassa gradazione fatto con anice, grano, sorgo e malto… E a volte anche aglio, ma quando viene usato per scopi “medici”.

SI beve tre volte in piccoli bicchierini: ovviamente ce ne hanno versato fino all’orlo: in quel momento ho capito perchè può essere usato come medicinale… Brucia qualsiasi cosa capita sul suo cammino.

L’ultima tappa è alla piccola industria tessile del paese: mani maschili annodano il cotone filato dalle donne su telai neanche troppo antichi nè troppo scassati. I prodotti sono davvero molto belli.

Andy ci consiglia però di acquistarli lungo la strada e non in paese perchè i costi, così, si dimezzano.

Facciamo una passeggiata nella campagna attorno, sono decisamente un po’ ubriaca ma mi passa alla svelta e comincio a capire la questione “la bevi perchè ti dà energia”. Quando ti ripigli sei abbastanza carico.

Lungo la strada che porta ad Arba Minch le ragazze vendono ciotole di frutta matura per pochi birr. Il profumo dei manghi e delle banane in pochi istante invade tutto.

 

Le visite ai popoli si susseguono di giorno in giorno, ed è strano, perchè sono così diversi tra loro in ogni dettaglio al punto di sembrare proprio popoli di mondi diversi vi racconto i principali, terrò per ultimi quelli da cui abbiamo passato più tempo e con cui abbiamo diviso un capretto.

 

Dassenech (o Dassanech o  Daasanach, Dasenach)

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Allora, una pagina andrebbe davvero dedicata a questo assurdo e scassatissimo popolo.

Vivono lungo il fiume Omo, non lontano dal lago Turkana. Non lontano, oddio. Parliamone.

Per arrivare da loro attraversiamo il fiume con una barca tradizionale (un tronco semplicemente scavato che ti fa viaggiare a pelo d’acqua con la sensazione perenne di ribaltarti da un momento all’altro. Scendiamo dalla barca e ci facciamo un chilometro a piedi circa per arrivare al villaggio.

Perchè costruirlo così lontano?

Perchè straripa.

Fino a dove straripa?

Fino là in fondo.

Il fiume straripa un po’ significa che arriva al bordo alto dei confini, non è mai arrivato più in là: ma loro per recarsi al fiume fanno ogni volta devono farsi un chilometro. Assurdo.

Sono principalmente pastori, in tempi relativamente recenti hanno cominciato a coltivare. Vivono di sorgo, mais e  bestiamo ucciso nella stagione secca: quindi qui di pance gonfie se ne vedono parecchie. Ovviamente vivono anche di turismo e per farsi fotografare si addobbano e si adornano cercando di guadagnare qua e là con chi va a fargli visita.

Le donne ovviamente sono infibulate, gli uomini no. Girano allegramente semi nudi, i vestiti li usano praticamente solo per andare in “paese”.

Sono 8 clan in tutto, la poligamia è tranquillamente accettata e per farsi sposare una donna deve dare una dote in bestiame: come potete ben capire, da queste parti comandano gli uomini.

La parte che mi ha sbalordito di più sono le capanne: dei giganteschi nidi d’uccello fatti con ogni tipo di materiale trovato: lamiera, paglia, cartone, stracci: gigantesche palle costruito da gazze ladre umane senza nessun tipo di logica, o una logica che non sono davvero riuscita a concepire.

 

Se non paghi non riesci a fotografarli, a meno che non siano di sfuggita, o da lontano. Poco accoglienti sotto ogni punto di vista.

 

Ari

Frugo nel cassetto della mia memoria e questi non devono essermi rimasti molto impressi. Vuoto.

Cerco negli appunti, e cito testualmente “stanno diventando stanziali, le case sono con il pavimento di cacca di mucca pressata, ma sono belle, addirittura dipinte”.

Vivono al confine nord del parco Nazionale del mago, a due passi dalla cittadina di Jinka e sparpagliati sono più di 100.000, sembra incredibile perchè se ne vedono sempre piccoli gruppetti.

Coltivano un po’ di tutto, dal grano all’orzo al mais al caffè. Il loro prodotto di punta però è il miele.

Le donne Ari si riconoscono per un dettaglio: le gonne. Indossano queste strane gonne a balze fatte in fibra di banano chiamate Enset: una gonna con sopra tutti i voulant e un bordino colorato.

La tradizione diffusa delle scarificazioni qui è decisamente molto sentita, e sulla pelle spesso puoi trovare davvero degli incredibili dipinti incisi nella pelle.

 

 

 Konso (o Konzo)

Agricoltori eccellenti, vivono sparpagliati su colline protette da muretti a secco e terrazzate per la coltivazione. In questa zona il verde intenso si fa vedere e loro vivono sparpagliati in un territorio davvero ampio. Sono 25.000 e sono decisamente tra i più evoluti di tutti, suddivisi in 48 villaggi, definiti in  9 clan, al cui vertice c’è il “fahalla dimulga” (il capo clan), che risponde del suo operato direttamente al “khalla” (il re).12525241_10154760895438327_5541371719741797663_o

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Vivono in capanne di legno, ma davvero solide e con con ampi tetti di paglia, mangiano variato, commerciano e sono vestiti in maniera “moderna”. Povera ma dignitosa.

Sono stata accompagnata per tutto il giro da bambini e da una donna che mi ha preso prima in simpatia e poi in odio estremo perchè… Non ho ben capito.

Aveva la faccia invecchiata dalla vita e una profondissima cicatrice sulla fronte. Ho chiesto ad Andy se sapeva cosa le era successo. Ha tradito il marito, lui le ha quasi spaccato la testa così. Ripudiandola poi. Ovviamente il resto del villaggio non è che la accetti poi molto. E tutto quel barlume di civiltà che vedi nelle colline coltivate e terrazzate svanisce così, in un attimo.

Anche loro si alimentano con il sorgo, ma al posto di mangiarlo come pudding ne fanno dei gnocchetti (di solito stufati o in brodo) chiamati Korkorfa, mangiati con diversi condimenti. Noi siamo capitati in periodo di quaresima, quindi solo verdura.

Il loro piatto preferito è il “korkorfa”, assimilabile ai nostri gnocchi stufati o in brodo, preparati con la farina di sorgo. Carne e pane abbinati con diversi condimenti prevalentemente piccanti sono pure comuni.
Il mercato per loro – come per tutti -è un punto di ritrovo per scambiarsi informazioni e merci,  e ovviamente per noi per capire un po’ il loro mondo.

Per esempio bevono una bevanda alcolica chiamata honey wine – vino di miele – dal giallo intenso e dal sapore acidulo (l’ho appena assaggiato).

Li vedrete spesso bere una specie di “liquido pastoso”, si chiama cheka ed è una specie di birra derivata dalla fermentazione di mais e sorgo.

Essendo accettata la poligamia le donne mettono in mostra il loro stato “sociale”: se una ragazza ha le treccine significa che è sposata, se una ragazza ha i capelli corti e rasati è ancora libera.

Essende accettata la poligamia le mogli si riconoscono dalla tipologia di collana che portano: la prima moglie indossa una specie di collana con una “punta” davanti, la seconda una collana ad anello semplice, la terza due anelli.

Sono di religione mista (cristiani ortodossi, una parte mussulmani), ma nella loro tradizione hanno reminescenze tradizionali pagane, rappresentate principalment dai Waga, dei piccoli totem intagliati nel legno che si trovano sia lungo le strade che vicino ai campi terrazati. Per loro sono rappresentazioni e racconti di persone passate, antenati di cui è importante conservare la storia.

Hanno una legislazione particolare (una specie di governo autonomo) ma sono attualmente in rotta col governo centrale e la zona è piuttosto militarizzata. Decisamente non è facile mettere insieme un governo tribale millenario con quello politico attuale.

Mursi

La strada che da Jinka porta a loro è a dir poco meravigliosa: vallate e colline che all’alba prendono una luce strepitosa. Il rosa colora poco a poco tutto.P_20160323_082126

 

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12967388_10154779344883327_6965153315346079002_oIl popolo più famoso e celebre di tutti, il popolo stravagante conosciuto per essere “quelli col piattello labiale”, quelli che si ricoprono di cacca, quelli fotografati da Steve McCurry.

CI siamo alzati prestissimo (per la visita in queste zone abbiamo fatto base a Jinka) per evitare le orde di turisti, perchè sì, è molto turistico.

Arriviamo e veniamo subito accolti da un’orda di persone che ci tocchettano di continuo cercando di convincerci a scegliere loro per uno scatto. Aspettiamo almeno di vedere il villaggio.

A differenza degli altri già visti qui non hanno recinti per i bambini: c’è un unico gigantesco recinto dove le capanne e gli animali vivono insieme. E questo ovviamente significa solo una cosa: che la cacca delle mucche arriva ovunque.

Il “pavimento” di questo enorme spiazzo è disseminato di cacche giganti di mucche e palline di capre ed è praticamente impossibile non pestarne una. E’ surreale.

Le donne stanno facendo una specie di porridge per la colazione, gli uomini si fanno gli affari loro lontano dalle capanne.

CI fermiamo da un gruppetto di ragazzi, uno è a terra e fatica a muoversi: ha una gamba con una profonda ferita aperta fasciata da uno stretto laccetto che sembra essere fatto con delle foglie, croste e sangue si mischiano con le mosche.

Mi offro di dargli una delle mie salviettine antibatteriche per dargli almeno una pulita, anche se deve prima lavarla con acqua. Praticamente fantascienza.

Prende la salviettina con le mani sporche di terra, la appoggia su un ramo. Praticamente dopo 3 secondi era già marrone e ricoperta di polvere. Inutilizzabile. Il taglio ovviamente se l’è fatto combattendo in un rituale chiamato Sticky Fight (chiamato nella loro lingua Thagine,  il combattimento con lunghi bastoni) che tradizionalmente di fa per verificare il livello di “virilità” di un ragazzo, per capire se è pronto a sposarsi. In pratica si tirano delle bastonate sulle gambe, facendo scorrere il sangue a fiumi.

Le abitazioni sono semplici, trovi un po’ di cibo appeso fuori, dentro sono vuote. Nulla di più.

La bellezza e la curiosità di questo popolo è a dir poco straordinaria. Si decorano la pelle con scarificazioni (sono anche segni di riconoscimento tra i diversi clan e vengono chiamate “Icioà”, lo fanno anche per apparire più attraenti: consiste nel taglio sottopelle ed è una pratica dolorosa e non priva di rischi, viste le condizioni igieniche non certo ideali. Si disegnano prima sul corpo, con un legnetto intriso di gesso ed acqua, i punti dove effettuare i tagli con la lametta, poi si alza la pelle nel punto contrassegnato con un rametto spinoso e si incide. Si cosparge la ferita con cenere ed acqua o polveri derivate dalla macinazione di radici particolari (dal nome “Urasa”). Le cicatrici che si formeranno quando il taglio si sarà rimarginato, daranno vita ad un tatuaggio a rilievo di particolare effetto.  Si pitturano di bianco (una tintura mista creata con la cenere) e in testa si adornano con prugnette selvatiche gialle o corna di animali uccisi. Ma il piattello catalizza l’attenzione di tutti, soprattutto quando se lo tolgono e quel labbro gigantesco pende ben oltre il mento.

Cominciano da piccole, all’età circa di 10 anni (è una cosa prettamente femminile) inserendo un piccolo legnetto ed allargando via via con gli anni il buco con piattelli sempre più grandi di legno o argilla, e possono arrivare fino ad un diametro di 20 cm. L’usanza del piattello serve per trovare marito.
Probabilmente un rito di passaggio all’età adulta (anche dal punto di vista sessuale), ma anche un segno di bellezza e coraggio. In realtà la visione contrastante dopo il matrimonio mi ha un po’ lasciata perplessa. Dopo ne nozze lo tengono lo stesso perchè le abbruttisce e quindi impedisce che vengano rapite da altre tribù. Quindi è bello o brutto?
Questi dischi vengono posizionate anche nei lobi delle orecchie, naturalmente di dimensioni inferiori come diametro.
Sono ancora ad uno stato primordiale, ma con una fortissima curiosità per il mondo esterno. Dopo le foto ufficiali – pagate profumatamente – ci allontaniamo dal villaggio inseguiti praticamente da tutti. I bambini ti toccano di continuo ma non ti chiedono nulla, diversamente dagli altri posti. La scena che si è presentata da lì a poco è stata a dir poco incredibile.

Mentre io ero impegnata a scartare lecca lecca (non si portano caramelle ai bambini, non so perchè Andy le avesse portate) visto che tutti i bambini se l’erano messo in bocca con ancora la plastica (dopo che ne ho scartato uno mi son vista arrivare la fila infinita di tutti i bambini con il lecca lecca plasticato e mezzo ciucciato… Impagabile la faccia di quando se lo mettevano in bocca dopo, quando sapeva davvero di buono!), i ragazzi più grandicelli hanno cominciato a prenderci le macchine fotografiche.P_20160323_085231

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Volevano guardarci dentro, farsi le foto. In pratica hanno cominciato a scattare all’impazzata, si facevano foto tra di loro, ci facevano foto a noi. Abbiamo pagato per poi ritrovarci con decine e decine di foto di loro che sembravano in gita… Tra i mursi. Uno spasso.

 

 

 

 

 

 

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1 Comment

  • Reply lise.charmel

    ho conosciuto una fotografa che l’anno scorso è stata nella valle dell’omo. raccontava che era rimasta molto delusa da questo aspetto “commerciale” della popolazione, che si metteva in posa per soldi. io non saprei giudicare, ma le tue foto dei ragazzi con in mano la macchina fotografica sono bellissime. ieri ho visto anche il tuo video, morivo dal ridere!

    15 Aprile 2016 at 15:10
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