“Ti va di tenerti la fame e di fare un giretto a Las Vegas che lì c’è tutto?”
È un’offerta che si può rifiutare?
Passare per Las Vegas per noi è un po’ come fare un saluto a dei parenti che anche se non ti fai sentire non si lamentano, ma continuano per la loro strada, tra novitá e cambiamenti. Un saluto veloce a Downtown, la parte della cittá che ho sempre preferito e che, purtroppo, sta cedendo alle avances di una modernitá obbligata, perdendo così tutto il suo fascino polveroso anni ’60 che mi aveva fatto innamorare.
USA
L’unico modo per spiegare la Death Valley è più o meno questo: prendete una pizza surgelata, accentete il forno a 200 gradi e fate scaldare finchè la luce non si spegne. Mettete dentro la pizza e a metà cottura togliete la pizza e inserite la vostra testa nel forno cercando di non fare un barbecue delle vostre orecchie.
Welcome to Death Valley!
Malibu è senza dubbio una delle cose che mi ha più fatto alzare il sopracciglio (quello della perplessitá): nel mio immaginario era una specie di Las Vegas senza casinò ma con casino, piena di locali, spiagge attrezzate, biondone con UGG e costumi da bagno. Salvo poi scoprire che è una tranquilla cittadina di mare non troppo affollata, con le case giustamente distanziate e all’americana (ovviamente in alcuni punti diventano sottilette..!) e ville nascoste da vegetazione abbondante. Niente di strano per LA, insomma. Forse perché prima di andare abbiamo guardato il video in cui Buffa racconta la casa di Jimmy Goldstein ed io ero convinta che fosse a Malibu (è a LA, for the records)… ? Forse.
Prima di partire per questo coast to coast alternativo (niente sud, si va a nord!) ho cercato informazioni soprattutto su Los Angeles, prima meta che, a dirla tutta non ci entusiasmava molto: troppe luci e lustrini, troppo turismo di massa (di quello brutto), troppo tutto quello che di solito non mi piace. E quindi ho cercato qua e là, ma nulla, niente che attirasse la mia attenzione davvero, perchè le cose consigliate erano sempre più o meno le stesse (e quelle che fondamentalmente non mi interessavano). Quindi armati di pazienza ci siamo messi alla ricerca di idee e consigli, e questo è il risultato della 48 h (o poco più!) losangelina.
La lemon curd è droga. Quando poi ci metti intorno anche uno dei muffin migliori che ti sia mai capitato di afferrare… Beh, può essere l’ago della bilancia che ti ribalta l’immagine della città.
Ma partiamo dall’inizio.
Dopo essere andati nella deliziosa Amelia Island, e più precisamente nella chiccosa Fernandina Beach dove il vento ti gela l’anima e i mosquitos ti divorano fin la testa mentre sei sul pontile a goderti un tramonto mozzafiato (inconvenienti a parte è un posto che merita una visita), siamo partiti di buona lena per cambiare stato, attraversare un pezzo di Georgia e inciampare nella cittadina più educata d’America: Charleston, South Carolina.
“Hem… Ma… Anche a voi si sono attaccate le pinne al fondo fangoso e colloso del fiume?”
“Direi di si, ma credo che sia il problema minore visto che siamo ricoperti di una melma verde e non sappiano dove ste bestie di 200 kg stanno nuotando”…
“oh, io ho bisogno di farmi una doccia, sento puzza di palude…”
“Ehm… In effetti..”
No davvero, giuro che ho scritto. Non ho pubblicato, ma ho scritto. Ogni tanto mi piglia l’ansia perchè so che poi Andrea mi controlla e mi scrive cose tipo “beh, e la Florida?”. Avevo bisogno di viaggiare, di non sentirmi addosso il dovere di scrivere, volevo sentire il bisogno di farlo.
Abbiamo viaggiato in compagnia di altri amici, un gruppo di 8 di cui, in viaggio, ne conoscevo soltanto uno. Lo ammetto, sono partita un po’ terrorizzata. Dopo il viaggio in New England (no, non cercate, di post non ce ne sono), avevo bisogno di capire se ero ancora in grado di viaggiare in gruppo (esperienza mai facile che mette alla prova pazienza, spirito di adattamento, apertura mentale per i diversi stili e ritmi di viaggio), se mi piaceva ancora farlo o se sono diventata una snob molto poco backpackers – su questo bisognerebbe aprire un capitolo a parte visto che si, sono diventata un po’ insofferente agli ostelli dove ci sono nordiche vestite da homeless ragazzi dai cappelli di paglia e Ray-Ban taroccati con la sigaretta sull’orecchio – che vuole viaggiare solo con il suo viaggiatore preferito. Io non l’ho mai negato, viaggiare con Gianni è una pacchia a tutto tondo.
Providence é proprio come ti aspetti una cittadina con quel nome: baciata da un cielo divino che la rende la cittá perfetta per una pubblicitá di tagliaerba.
È da passeggiare in lungo e in largo. Niente macchina anche se il quartiere di College Hill è tutto un saliscendi (anche se a me è sembrato solo un sali… Ma forse perchè quando hai 40 ore di veglia alle spalle, tutto ti sembra decisamente un sali), e le case sono decisamente da cartolina, e poi arrivi lì all’ingresso della Brown University -il quarto più vecchio degli Stati Uniti- e ti rendi conto di perchè da queste parti i ragazzi fanno qualsiasi cosa per poter studiare, anche solo sedersi in quel parco perfettamente tosato e studiare riparati dal sole da qualche quercia secolare… Beh, è senza dubbio meglio del parcheggio con qualche pianta infilata nel cemento della Bicocca. Mentre passavamo nelle diverse zone (ah, per la cronaca: in tutto il campus c’è la wifi gratuita) si sono susseguiti nell’ordine: ragazza che dormiva nel prato, gruppo di ragazzi e ragazze che si allenavano con birilli e palline a fare gli artisti di strada, altro gruppetto di canterini che inneggiavano a Dio e all’amicizia, sposa oversize con seguito di damigelle di tutte le etá e tutte le taglie con uomini più interessati al supersigaro che avevano in bocca che alle foto. Un ambiente totalmente rilassato e vivibile… Cioè, a chi verrebbe in mente di andare a fare il servizio fotografico del matrimonio all’incrocio della metro in cui c’è la sede della statale di Milano?
Vagabondiamo per la cittá, passiamo davanti a tutte le case “storiche” ma tutto il nostre attenzioni sono focalizzate tutte sull’incredibile fortuna (ehm, direi più botta di culo) di essere al posto giusto nel momento giusto… Si perchè come segnala la LP uno degli eventi (che viene messo in piedi una decina di volte all’anno) è il WATERFIRE, un’installazione artistica con tutta la festa di contorno. Lungo il fiume vengono montati dei bracieri che poco a poco vengono accesi da “cerimonieri” che a suon di musica accendono con torce infiammate tutte le cataste di legna… Davvero carino. E la parte alimentare non può mancare. Come low budget e soprattutto per soddisfare la voglia di junk food abbiamo optato per un panino da Haven Brothers Diner (accanto alla City Hall), un camioncino allestito a sfornapanini reso celebre dal sanissimo programma Man Vs Food in cui un simpatico ragazzone si ingozza di junk food. E nella puntata dedicata a Providence prima di mettersi contro ad un giocatore di football e ingozzarsi di hot dog ricoperti di carne e cipolla si ferma in questo truck a farsi un triplo murder burger.
Allora: a parte che l’hot dog era più o meno grande come quello dell’ikea e il mio panino sub con il pollo era assolutamente “normale”… Il murder burger era… Un hamburger normalissimo al costo di un hamburger esagerato. A parte le dimensioni ridotte (la tv ingrassa anche i panini!) 9 dollari e neanche un cetriolino? No dai.
Io non è che proprio ho paura di volare. Ho semplicemente guardato troppi film in cui si staccano ali, si scoperchiano aerei e uno sconosciuto dagli addominali perfetti e un’hostess bella e coraggiosa salvano tutti con dello scot
h da pacchi e doti di pilotaggio improvvise. E quindi visto che ero circondata da anziani russanti e le hostess erano abbastanza attempate da non dimostrare poi tutta questa paura di morire… Beh, il volo Amsterdam – Boston operato da Delta è stata la solita tortura di turblenze guarnita oltretutto da un bicchiere di vino rosso che la gentile signorina mi ha rovesciato sulla giacca bianca (e pulito prontamente tutto con una sprite che ha dato anche una sfumaura di giallo). Solo quando tocchiamo terra e le hostess insultano quelli che si alzano prima che l’aereo sia fermo, che posso dire davvero di essere arrivata.Almeno in volo ho rinfrescato la mia passione giovanile per il buon Leonardo di Caprio guardandomi il Grande Gatsby. Ah, il bicchiere di vino non era neanche per me. Strano.
Quanto so di questo intensissimo tour dal profumo d’autunno a parte il nome degli stati che toccherò? Poco, a dir la veritá. parto mediamente poco preparata (viaggiare con un uomo che è un’enciclopedia vivente che ha pure il gps integrato farebbe impigrire anche il viaggiatore più accanito). Parto con la certezza dei colori intensi che mi aspettano e le zucche onnipresenti (oltre al pumkin spice in ogni ricetta!), la gentilezza degli americani e la possibilitá di confrontarla con quella canadese e vedere se le prese in giro di Robin in How I met your mother sono così giustificate. Parto con il blogtour alle Eolie ancora sulla pelle (incredibile, son leggermente bronze) e infilo il piumino in valigia. Parto con la solita voglia di viaggiare. La curiosità è una droga, i viaggi sono la miglior valvola di sfogo!