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India, Pensieri qua e là

Camminando verso Allahabad

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Islamabad è in Pakistan, Allahabad è in India. Allamabad non esiste. Promemoria per me. Non capisco bene perchè ma faccio casino.

Casino. Ecco la parola che senza ombra di dubbio si addice di più ad Allahabad. Partire dal campo tendato, immergersi nella folla e  perdersi. E’ delirante. Siamo stati al Kumbh Mela pochi giorni e tutto diventa istantaneamente naturale, abitudinario…

Arrivare al pontile, trattare per la barca, attraversare un Gange calmo e piatto movimentato solo dalle onde create dalle persone che si immergono tre volte nel loro rituale mattutino, cercare di evitare i ragazzini con i serpenti e i venditori di colori, rimanere incuriositi davanti ai lettori di futuro con uccellini ammaestrati che estraggono carte con il becco da mazzi di parole sempre uguali. E i lebbrosi, e gli storpi. Quanta elasticità hanno i nostri occhi e la nostra sensibilità quando diventiamo insensibili a tutto dopo pochissimo tempo?488054_10151765917848327_70207408_n

La stessa oppressione dovuta alla gente l’ho provata solo in Cina, in quelle metropolitane pechinesi dove era sempre l’ora di punta e in cui era normale soffocare annusando il collo di quello di fronte cercando di evitare che qualcuno si appoggiasse sul mio sedere. Qui è folla.

Da quando sono tornata ho ripetuto ossessivamente questa frase: ” se non sei stato in India al Kumbh Mela non hai idea di cosa sia la folla”. Ed è maledettamente vero.

Cammini per strada e diventi flusso, diventi una microscopica particella di un alveare in movimento. E’ da non crederci.

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Il caldo è asfissiante, mi sono accorta quando ormai eravamo in città che il sole ci stava carbonizzando tutti: comprata crema solare per 1 euro e mezzo circa. Alla faccia delle creme protettive che vendono dalle nostre parti… Abbiamo camminato per ore, e non è un modo di dire, la strada per andare in città era infinita e non era possibile andarci con nessun mezzo su cui appoggiare comodamente le chiappe: a piedi. GLi indiani vanno sempre, ovunque, a piedi. CI adattiamo alla tradizione, ci immergiamo nella festa. Dovrei chiedere a qualche indiano come imprecano visto che una cucitura in una scarpa mi sta massacrando il piede. Credo di aver risposto alla gentile domanda preoccupata di Roberto che mi chiedeva “ti fa ancora male il piede?” qualcosa molto simile a “preferirei farmelo sbranare a morsi da qualche cane indiano e vedere che dopo lo sputa nel Gange…solo allora potrei essere serena”. Si, devo ammettere che le mie comodissime scarpe con una cucitura spostata sono diventate un terribile incubo. Pazienza. Un passo dopo l’altro visto che Gianni mi ha vietato categoricamente di togliermi le scarpe. Tanto batteri per batteri… Niente bancarelle a parte per un gelato che sapeva di spezie e cardamomo.

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Si perchè uno quando pensa all’India sente subito nell’aria profumo di curry, verdure cotte con pollo in salsine color giallo intenso einvece no, il profumo, l’odore e il sapore che neutralizza (e sfancula… perchè dai, a volte esagerano) tutto è solo uno: il CARDAMOMO.

E’ ovunque. Nei dolci, nei gelati, nei curry, nelle verdure. Non sono neanche troppo sicura che sulla pizza di Andrea ci fosse origano… credo sarebbero capaci di infilarlo anche lì. L’ho sempre amato. Adesso, a un mese di distanza ancora non sono riuscita a bere una sola tazza di Chai. Sono terribilmente nauseata. Ma divago.

Cosa si può dire di Allahbad turisticamente parlando? C’è una cattedrale, l’All Saint Cathedral, affascinante chiesa che in un clima terribilmente induista fatto di sadhu e santoni beh, è un delizioso pugno in un occhio. Nel senso buono del termine. E? lì, che svetta  oltre un cancello, ricorda Notre Dame de Paris, imponente, bellissima. La dominazione inglese in India si fa sentire in questi dettagli, una cattedrale anglicana tra indù. Ma tanto, da queste parti non ci si stupisce più di nulla.

Per pranzo optiamo per el Chico un ristorante di alto livello in cui finalmente mangiamo qualcosa di un po’ diverso e soprattutto non vegetariano: ok che è sano, ok che è pure buono ma di mangiare ancora montagne di Paneer in salsina di curry ne ho veramente le palle piene. BUono eh, ma sentire solo roba gommosetta sotto i denti mi fa sempre sentire un po’ malata. Come mangiare brodo di pollo per tre giorni di fila…

E quindi ci buttiamo in maniera compulsiva su qualsiasi tipo di animale: pollo, agnello…prendiamo molto più cibo di quanto non possiamo fisicamente ingerire, ed è pure buono.

IMG_1913Con la pancia piena e un po’ di crema protettiva sulla pelle ci dirigiamo verso  i giardini di Khusro Bagh, povero figlio del re Moghul Jahangir assassinato dal fratello Shah Jahan, Non è uno scherzo, è tutto vero.La madre Shah Begum del Principe Khusro fu sepolta accanto a lui. Lei credeva di avvelenarsi a causa della disperazione per l’opposizione del figlio di Jahangir. Non ho capito bene la storia, ma poi ci chiediamo da dove prendono le trame dei film di Bollywood?

I giardini sono deliziosi, indiani della Allahbad bene passeggiano con vestiti simil eleganti calpestando il curato prato all’inglese, noi ancora una volta siamo l’attrazione. Nokia fuori produzione da almeno 10 anni continuano a scattare foto compulsivamente e io ormai sto diventando insofferente: ma sono troppo gentili, non puoi essere scorbutico. Non ce la fai. Sono insistenti, sono ossessionanti. Ma sono gentili, entusiasti, sembra sempre che una foto fatta con loro possa cambiargli la giornata, sembra che tutto dipenda dalla tua voglia o meno di stare in posa per una decina di secondi con loro.

Saliamo su un Tuk Tuk per fare in modo di riavvicinarci in una qualsiasi maniera al campo tendato, siamo tutti stanchi morti e i km vanno fatti a piedi, non c’è scelta. CI ritroviamo in mezzo a minuscoli paesini, due militari ci inseguono e si divertono a fare pezzi di strada con noi, l’alveare ronza in lontanaza e noi siamo lontani da tutto. Poco alla volta, arriviamo al campo.

Di quella giornata ho un ricordo pesante, violento. E se raccontassi solo questo forse non riuscirei a spiegare la mia Allahbad.

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La giornata in realtà è cominciata uscendo dal campo, passeggiando. In tasca mi ero portata alcuni dolci comprati ad una bancarella nel delirio polveroso del Kumbh Mela, ma si sa, io assaggio spavaldamente tutto. Il motivo per cui sono avanzati è stato che non mi piacevano, troppo zucchero, troppo dolci. In maniera ingenua ho pensato di darli a qualche bambino che avrei incontrato sulla strada, non pensando a QUANTI bambini c’erano sulla strada. Li ho tirati fuori. Sono stata letteralmente assalita. Decine di bambini che tendevano le mani per prendere un pezzo di questo dolce, i più grandi cercavano di sovrastare i più piccoli e io mi sono ritrovata a chiudere le mani per poter salvare qualche pezzo per i piccoli che non riuscivano ad arrivare a me. Ancora. Mi sono sentita una sporca turista, una di quelle che “va in India a vedere i poveri”, una di quelle che dà il dolcetto per poi raccontarlo. Mi sono sentita un’ingenua, consapevole di aver letto di non dare dolci ai bambini, certa di non dare nessun aiuto. Sono scoppiata a piangere. Mi si gonfiano gli occhi a scriverlo oggi. Non è retorica, ti si spacca il cuore in pezzi.

E la mia Allahbad è stata condizionata dal pensiero di quelle mani tutto il giorno, peggiorata dalla vista di un uomo praticamente morto sul ciglio della strada con le mosche che gli pasteggiavano in bocca.

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Serve raccontare tutto questo? Mi vergogno mentre penso a quanto intensamente mi sono lavata quella sera, a quanto sapone èservito per togliermi dalla pelle la polvere e le brutte sensazioni. Ed a quei momenti penso spesso.

Cosa siamo noi in quel mondo, vivendo l’India in quel modo?

Gente che impara. Credo. Gente che ha voglia di ricordarsi quanto si è fortunati ad avere 10 paia di scarpe diverse, di avere cibo fresco ogni giorno ed un tetto sulla testa. Ma questa è retorica.

C’è una frase di Gandhi che ho sempre amato e che non sono mai riuscita a fare mia: ” un passo alla volta mi basta” .

In India impari a farti assalire da un mondo impetuoso e folle tutto d’un colpo, ti senti travolto come in un tornado da cui ti lasci trascinare, ma capire e assimilare sono un’altra cosa. Appunto, un passo alla volta, mi basta.

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