Follow:
Browsing Category:

Pensieri qua e là

    Pensieri qua e là

    Hostelworld Travel blogger Award 2013

    download

    Scusateiovado.com è nato così, dal desiderio di fuga, dall’amore per la scrittura, da una frase ripetuta spesso da una collega.

    “Tanto so che un giorno in cui c’è un casino pazzesco tu ci guarderai tutti, prenderai su la borsa e l’unica cosa che dirai sarà… scusate io…vado. E dopo un paio d’ore sei già a Malpensa”. Più o meno, è andata così.

    E poi viaggi, pagine, post, viaggi grandiosi, pensieri, emozioni, musica, viaggi andati male. Riflessioni.

    Una sera, mentre mi lamentavo ancora di alcune cose che non sono girate bene nell’ultimo viaggio negli States, la mia dolce metà, piuttosto incazzata, oltretutto, mi ha detto di piantarla e che avevo decisamente rotto le balle. Parlavamo due lingue diverse, discutevamo di cose diverse. E così ho fatto quello che faccio di solito, quando non sono capace di ragionare in fila o quando sono esasperata dalle discussioni: ho scritto. Ho messo in ordine il groviglio di pensieri.

    Ho risposto a lui, ho risposto a me stessa. E così è nato Perchè viaggio, perchè sono così.

    E come spesso capita le cose scritte con la pancia, con lo stomaco… Beh, sono sempre le migliori.

    E queste parole evidentemente sono arrivate a chi sceglieva i pezzi per il travel blogger Award di Hostelworld 2013

    E’ emozionante, lo ammetto. Sono lì, con accanto visi noti, persone che leggo regolarmente e a cui, sembra incredibile ma voglio bene anche se sono distanti e la conoscenza è superficiale. Ma condividiamo le stesse passioni, lo stesso amore viscerale per il mondo.

    Sono felice di esser lì, sono felice se leggete e scegliete me. Sono una ragazza semplice. Ma alla fine, l’importante è partecipare.

    Sono di Salsomaggiore Terme, 50 anni di miss Italia tra le balle mi avranno pur insegnato qualcosa! 😉

    Share:
    Pensieri qua e là, Viaggi, Vietnam

    Ricordi di Vietnam

    206250_10150257852848327_5794500_n

    Tutto parte da un occhio attento, quello di Andrea B, meglio conosciuto come AndreainThailandia che un giorno mi chiede dove è stata scattata la mia foto del profilo del blog, quella con l’ananas in una mano e l’altra a coprire una bocca troppo piena. Me lo chiede ma la risposta me la dà prima che io possa dire la mia. Vietnam, delta del Mekong. Esatto. E poi la domanda “ho cercato sul blog ma del Vietnam non ho trovato niente, come mai?”. Scusateiovado è nato dopo, molto dopo. Ma questa non è una scusa sufficiente. “dovresti scriverne”. Dovrei. Dovrei tirarlo fuori da quelle parti di me così protette da essere coccolate e difese da altri ricordi, perchè il Vietnam è lì, non si tocca. Non se ne parla molto, “ci sono stata, molto bello… Al nord faceva freddissimo e quando il cielo si apre su Sapa è un sogno”. Molto buono e leggero il cibo, sono stata anche al mare… ah, e ho fatto un corso di cucina. Beh, certo, non si può perdere Halong Bay. Fine. Il Vietnam che racconto è questo.

    Read more

    Share:
    Pensieri qua e là

    Ragionamenti sparsi: perchè viaggio, perchè sono così.

    893872_10201566163410864_349963306_o

    Oggi mi è stato chiesto di ragionare. Mi è stato chiesto di pensare un po’ al perché sono così incazzata per il viaggio in New England che è andato così così, sul perché ancora non riesco a togliermi dalla pelle una sensazione negativa di “andato male” che è legata ad alcuni problemini tecnici che preferisco non sbandierare sul blog. I posti comunque sono stati meravigliosi.

    Read more

    Share:
    Pensieri qua e là

    Ripartire. Ricominciare. Welcome to..

    image
    Per quanto vorrei che diventasse un lavoro a tempo pieno scrivere è sempre stato un piacere… Mi sembra che un viaggio senza il ricordo delle emozioni scritte da poter rileggere e rivivere… Beh, mi sembra un viaggio un po’ a metá. E sarà che il mio entusiasmo è stato un po’ minato, ma qui nel New England ho scritto un po’i primi giorni e poi ho smesso, dopo essermi riletta e aver trovato nelle mie parole solo un asettica rivisitazione della LP.
    Visto che mi sto imponenedo come religione il “vedere il bello in ogni cosa” e il bicchiere mezzo pieno io ci riprovo. Dividendo la strada per stati e paesi… Lasciando spazio ovviamente alla parte food (che per me è anche rimanere incantata davanti ai ricettari di un bookshop!)… Che per me è assolutamente fondamentale. Per viaggiare bisogna mettere in valigia tre cose: il passaporto, l’entusiasmo e la curiositá (e un po’di soldi, ovviamente). Se dimentichi anche solo uno di questi elementi allora non hai capito nulla del viaggio. Sei uno che si sposta.
    Quindi: un bel sorriso, un bel sospiro e ripartiamo. Benvenuti nel New England!

    Share:
    Balcani, Pensieri qua e là

    DON’T FORGET SARAJEVO!

    IMG_9300Sarajevo è una città difficile.  Me ne sono accorta non tanto quando ero là, mentre passeggiavo per le strade o guardavo i monumenti che ancora sono rimasti in piedi dopo la guerra, ma mentre mi sono “dovuta” mettere davanti ad un foglio bianco con l’intento di scriverne.IMG_9314

    Sarajevo è una città ferita, l’intera Bosnia lo è. Ho parlato con amici di Jaice che nonostante la giovane età hanno dentro le vene l’odio per i serbi e per quella assurda guerra, e non hanno la cattiveria derivante da un odio mitologico, da affari di etnie o religione: loro sono incazzati perchè molti amici e parenti sono morti. “Anche mia cugina è stata ammazzata, aveva la mia età. Aveva un anno”. E quindi come fai a parlare senza andare fuori dai bordi? Racconto con indifferenza la città che ho visto? Faccio un post strappalacrime su quanta è brutta e cattiva la guerra?

    Più che scrivere, leggo. Sto finendo “maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, un libro difficile sugli anni di guerra nei Balcani che lui ha vissuto in prima persona come inviato, e lo faccio per capire, per riuscire ad agguantare il bandolo della matassa ì, il capire anche solo “chi era contro chi e per cosa”, e ad ogni passo mi si apre un mondo. La guerra mediatica, le bugie, gli orrori, Srebrenica. Nel luglio del 1995 il mio unico pensiero era non essere potuta andare in colonia a Marina di Massa perchè avevo avuto l’insufficienza in matematica. A 6 ore di macchina da me, mentre Ligabue cantava “certe notti” e io mi strappavo i capelli davanti al video di “back For good” dei Take That, l’orrore era all’ordine del giorno, e la televisione ne parlava come una cosa “piuttosto lontana”. Un genocidio, mentre sulle spiagge opposte dello stesso lembo di mare la gente prendeva il sole.

    IMG_9340

    E’ in questo la mia difficoltà di parlare di questa città, che adesso è viva e vitale, che ogni sera ha le vie invase dai giovani che bevono ai caffè, mangiano dolci e escono a divertirsi. E lo fanno in locali che spesso hanno le pareti trivellate di buchi, in palazzi che a volte sono ancora in parte distrutti. E hanno trent’anni, quindi “ai tempi”, loro c’erano. Fatico a parlare della città perchè non l’ho capita, perchè mi ha messo un germoglio dentro di cui ancora non capisco la pianta e non mi è dato ancora rendermi conto di dove sono stata. Più o meno la stessa sensazione che avevo avuto nei killing filelds in Cambogia o nei campi di tortura.

    E poi penso che quando sono uscita dall’S21 di Phnom Penh completamente sconvolta e ho chiesto al mio guidatore di tuk tuk di portarmi in hotel perchè non mi sentivo bene lui si è messo a ridere, come per tirarmi su di morale. E allo stesso modo mi sono sentita quando – dopo aver visitato il museo della storia- sono andata a bermi un caffè al Tito cafè, proprio sotto l’edificio che parla della devastazione balcanica dall’inizio ‘900. Si proprio un cafè pieno di busti e immagini del simpatico signore che è “celebre” per aver messo in piedi uno dei peggior genocidi della storia.

    Forse ci vuole un po’ di ironia, forse semplice si ride per non piangere.

    Sarajevo è bellissima. Ha un fascino strano, un misto di culture decisamente visibile. Ha l’aria di una vecchia signora, truccata per bene che ti guarda con gli occhi malinconici. E ti vien voglia di chiedergli la sua storia, di scoprire il perchè di quello sguardo.

    Ha degli scorci che ricordano Istanbul, a volte inciampi in palazzi splendidi, magari abbandonati e ti chiedi continuamente perchè. Solo “perchè”. Sarajevo non è Parigi e non è Londra, ma si fa amare.

    In un altro post un po’ più allegro cosa fare e cosa no. E intanto che ci penso cerco di togliermi la voglia di burek che mi è salita istantaneamente.

    Share:
    Pensieri qua e là

    Interruzione meditativa

    La verità è che sono abbastanza impegnata. Ma lo ammetto, non così impegnata da non poter scrivere sul blog. L’India mi si è incastrata dentro e sembra non voler uscire. Non capisco se sta prendendo forma o se mi si è solo piantata sullo stomaco. Sto metabolizzando. Cerco di mettere in parole delle immagini che sono rimaste tatuate nella pelle, nell’anima, nelle ossa inumidite dalla pioggia di Varanasi.

    Sembra un groviglio di strade senza cartelli e io sto cercando di dare le indicazioni a un cieco. I miei occhi e le mie mani come supporto dovrebbero essere la guida. Ma  i miei occhi sono ancora sporchi. Non capisco se la amo, se sono arrabbiata, se sono addolorata. So solo che ho accantonato l’India per un paio di settimane, lì, in un angolo a decantare mentre cercavo di scrollarmi il malessere fisico (rivelazione, anche io sono stata male…! ) e guardavo quelle foto, piene di occhi, di polvere, di acqua sporca, di bambini per strada.

    Le ho un po’ rigettate  e adesso le guardo con amore.

    Ok, scusate l’interruzione. La trasmissione riprenderà al più presto.

    hugs

    Share:
    India, Pensieri qua e là, Viaggi

    Orchha e dintorni

    Come si fa a spiegare l’India?

    Ogni giorno che passa mi rendo sempre più conto che tutto quello che mi era stato detto era veritiero, ma talmente lontano dalla realtà che sto vivendo da realizzare soprattutto la difficoltà di spiegare cosa c’è in questa parte del mondo. E’ come spiegare un’alba a un cieco.

    IMG_0867

    L’India è fatta di strade rotte e impraticabili che ti spaccano la schiena quando i chilometri da fare sono tanti, di case di eternit e mattoni senza calce, di bambini che sembrano adulti e adulti che sembrano vecchi, di vacche e bufali che girano tranquillamente per i paesi senza che nessuno li disturbi, di gente che mangia alle bancarelle e beve da un secchio comune, di bagni più sporchi di quelli cinesi, di alberghi con coperte sudice e lenzuola discutibili, di autobus che vanno in pezzi con i finestrini che si aprono su spranghe di ferro, di montagne di spazzatura ad ogni angolo, di pile di dischi di escrementi che loro usano per costruire e per scaldarsi, di occhi di anziani sempre pieni di cataratta, di mani continuamente tese, di santoni che curano gli ascessi con rituali magici e preghiere.

    Eppure…

    IMG_0879

    Non è retorica ma dell’India, se sei predisposto, ti innamori all’istante. Perché è fatta di sari colorati, di ragazze che si nascondono timide dietro i veli, di interi villaggi che ti corrono incontro per farsi fotografare, di bambini che giocano ancora con una ruota di bicicletta e un bastone, di gente che ti offre il cibo se ti vede incuriosito, di templi, di negozi incasinati, di pile perfette di frutta, di succo di mango, di piccole comunità che ti fanno rendere conto di quanto siamo diventati aridi e solitari nel nostro mondo. E ovviamente, a me è successo. Sono anni che la sogno e paradossalmente non sta deludendo le mie aspettative. Nonostante i miei ultimi viaggi siano stati in posti fin troppo civilizzati con tratti futuristici. Qui sei fuori dal tempo, condividi i samosa con gente che ancora va a prendere l’acqua al pozzo e per cui le tapparelle elettriche sarebbero qualcosa di magico e allo stesso tempo ti accorgi che tra di loro ci sono persone che hanno delle eccellenze tali da poter mettere in ginocchio paesi occidentali in cui tutti girano con l’iphone in mano. E non capisci come possano convivere questi due mondi estremi. Non pretendo di capire l’India, non potrei e non ci sto riuscendo. Avrei bisogno di tempo, insegnamenti, pazienza. Mi limito ad assaggiarla. Come un samosa offerto da Dave-guido-come-un-pazzo-ma-non-ho-mai-seccato-nessuno.

    Nel casino totale di paesini lungo la strada arida (dove oltretutto ci becchiamo anche un camion ribaltato) che parte da Gwalior il paesaggio comincia a cambiare, fino ad arrivare a una splendida oasi: Orchha.

    “Il gioiello del Madhya Pradesh”, “l’anima dell’India”: si può trovare qualsiasi definizione dell’antica capitale del Bundelkhand, e direi a ragione vista la meraviglia che ti si presenta davanti. Prima di tutto c’è una fiorente vegetazione, che dopo aver visto terra secca perkm non fa mai male.IMG_0788

    L’albergo tutto in stile coloniale ha un fascino incantevole: ci mettiamo a prendere il sole in piscina per un po’, ci gustiamo il pranzo e ci riposiamo un po’ per rallentare i ritmi. E poi al pomeriggio a vedere la cittadella e il forte.

    Il palazzo Raja Mahal è ancora una volta incantevole, affacciato su un cortile interno perfettamente conservato (è stato eretto tra il 1531 e il 1539). Curioso il fatto che ai piani alti non ci fosse nessuna ringhiera di sicurezza e ci fossero buchi da cui uno poteva tranquillamente cadere.

    Dopo la visita del palazzo e della old Town siamo andati nella piazza del paese, e lì è stato delirante. A parte una bambina di circa due anni che mi si è aggrappata a una gamba e non c’era verso di sganciarla, è stato davvero strano. Camminavo e lei lì, con la sua gonnellina di tulle blu e i sui occhi truccati di nero mi guardava dal basso verso l’alto senza mollare neanche per un secondo né la gamba né i pantaloni. Fuori dal tempio una cerimonia, con tutta probabilità un matrimonio. Celebrato sul muretto fuori dall’edificio, i due sposini cantavano la litania con il tizio che celebrava, schizzavano acqua su un fascio di erbetta, fiori qua e là. E poi gente, in ogni angolo. Non so neanche quante volte mi sono sentita tirare la maglietta per fare una foto. Loro si divertono a rivedersi nello schermo, a mettersi in posa con tutta l’allegra combricola.

    Ho comprato dei dolci perché già ne sono drogata a casa, figuriamoci qui come devono essere… diversi tipi tutti ordinati nella loro scatolina (mi fanno impazzire, sono un macello e un disastro totale nel loro modo di vivere, però su alcune cose, come mettere i dolcetti nel cartoncino o sulle registrazioni alberghiere, sono maniacalmente ordinati), li ho assaggiati, medio-buoni, li ho rimessi in borsa. Un bambino tirandomi per la borsa li ha visti e ha cominciato a indicarli, oltre che a chiamare tutti i suoi amici.

    Visto che di zuccheri non ne ho bisogno e che il mio volume sta chiaramente aumentando, ho aperto la scatola in mezzo a una marea di bambini. Mi hanno letteralmente assalita.

    Tutti a spingere per prendere quanti più dolci possibili e infilarseli in bocca. Mi è salito un magone in gola difficile da spiegare. In quei momenti ti senti solo l’occidentale che si può permettere tutto.

    Sentirsi fondamentalmente di merda e aver voglia di aiutare tutti… e avere la coscienza di non poterlo fare.

    Straziante. Ed è ugualmente incredibilmente bella.

    Share: